L’Isis in Siria, atto finale?

Deir ez-Zor è una strategica città siriana che potrebbe essere ricordata come l’ultima roccaforte jihādista dell’Isis. In queste ore si sta celebrando non il più drammatico momento della storia di questa città ma probabilmente il momento più importante, in quanto dopo più di 4 anni di occupazione, di decapitazioni, di stupri, di stragi, potrebbe ritornare, se sarà mai possibile, nell’ambito di una vita civile. Va ricordato che non è casuale che questa città sia stata un obiettivo iniziale di conquista da parte dello Stato islamico e probabilmente l’ultima ad essere ceduta.

Deir ez-Zor è ubicata in una posizione strategica, non lontano dal confine iracheno, è un vertice del triangolo composto dalle città di Raqqa e Palmira, ambedue legate allo stesso tragico destino imposto dall’Isis. È stata, ai primi del 1800, un area di transiti commerciali importanti che legavano Damasco a Costantinopoli e a Bagdad, inoltre, era anche un punto di destinazione dell’altro tragico evento che ha visto la deportazione del popolo armeno da parte dei turchi nel 1915 (l’Isis ha distrutto la Chiesa Memoriale del Genocidio Armeno di Deir ez-Zor). Un aspetto che va considerato della sua posizione è quello di essere adagiata sulle rive dell’Eufrate, a valle della strategica diga di Tabqua, infatti Deir ez-Zor, come Raqqa, come la diga Ramadi, come la diga di Falluja più a valle, e come la diga di Mosul, di Harb-almiah e quella di Sudur sul Tigri, hanno fatto parte della “Water War”, poco nota e divulgata, che l’Isis ha utilizzato per la conquista di territori e città.

L’Isis ha puntato molto sul controllo del ciclo idrologico poiché, grazie a quello dominava le popolazioni civili sia irachene che siriane. Se si considera che la vecchia diga siriana di Tabqa (800 Mw) costruita dai sovietici all’inizio egli anni ’70, tra le più lunghe dighe in terra del mondo (ben 4,5 km) che controlla l’ingresso dell’Eufrate a valle del confine con la Turchia e le dighe di Tishreen (450 Mw) e di Al-Baath (80 Mw), erano in mano e sotto controllo dell’Isis, si evince quanto era determinante il vantaggio del Califfo sul terreno dell’acqua. Quello che resta del Califfato di Abu Bakr Al-Baghdadi (alias Dr. Ibrāhīm Abū Du^ā^), sta per essere definitivamente conquistato da una di quelle alleanze trasversali, articolate e “variabili”.

Le determinanti milizie Curde, istruite ed equipaggiate dalla Germania, unite sotto la sigla Ypg (Unità di Protezione Popolare) e le temibili donne della Ypj (Unità di Protezione Donne), in alleanza con le Syrian Democratic Forces (Sdf), combattono unite per il medesimo obiettivo: una Siria federale, quanto possibile democratica, e soprattutto secolare. Per esattezza va detto che all’interno delle Sdf sono presenti soldati curdi e filocurdi, soldatesche arabe (anche di profilo tribale), milizie siriache e turkmene, mercenari ceceni (che si dividono anche con le forze jihādista dell’Isis), ed una brigata internazionale molto eterogenea, sia come nazionalità che come percorso militare. Questi gruppi sono oggi filo-governativi, vicine al presidente Bashar al-Assad, ma occorre tenere presente anche il ruolo flessibile che gli Usa stanno tenendo, in quanto a dicembre Donald Trump aveva annunciato il ritiro delle truppe americane dalla Siria, senza specificare una data, ma come chiarito da Sarah Sanders, portavoce della Casa Bianca, “il ritiro è già iniziato, ma la vittoria sull'Isis non implica la fine delle operazioni della coalizione”, ricordando, inoltre, che gli Usa hanno sostenuto sia militarmente che politicamente, anche in tempi recenti, i ribelli siriani antigovernativi. Nell’area di Deir ez-Zor sono presenti alcune centinaia di miliziani Isis (500/600); da una semplice analisi sui dati che trapelano dalle “informazioni”, quasi tutti sono mercenari e pochi autoctoni, residui prezzolati del fallito Stato islamico, che godono, ancora per poco, di quella “sindrome” di onnipotenza applicata sulle miserie dei fragili civili. In questo ambito sembra che i jihādisti si stiano giocando anche la carta degli ostaggi rapiti da utilizzare come merce di scambio in cambio di una sicura “via di fuga”.

Forse anche padre DallʼOglio potrebbe essere di questa partita, sicuramente il giornalista John Cantlie, come pure l’infermiera neozelandese della Croce Rossa. La strategica operazione militare che sta portando alla finale cacciata dell’Isis dalla Siria, in particolare da quegli ultimi quattro chilometri quadrati di territorio sull’Eufrate, senza dubbio porterà ai Curdi, che sono stati e sono determinanti per le sorti del conflitto, la possibilità di ottenere dalla nuova impalcatura dello Stato siriano, una struttura federalista, sarà sicuramente un passo verso la creazione ed il riconoscimento del nuovo Kurdistan anche se non in un ambito di Stato-Nazione; inoltre dare un profilo secolare ad una area che ha visto drammaticamente cosa significa l’applicazione del salafismo jihādista (nella sua visione che vede l’uso della rivoluzione allo scopo di adottare la loro singolare e rigida interpretazione della legge sacra), è sicuramente una conquista di tutto il popolo siriano, curdo ed anche iracheno.

Infine in una lettura geopolitica più ampia il fatto che la Siria ne esca vittoriosa, è soprattutto una sconfitta per quelle potenze straniere che l’avrebbero vista bene come l’Iraq e la Libia.

Aggiornato il 12 febbraio 2019 alle ore 10:56