Il “terrore” di essere dimenticato di al-Baghdadi

Dopo la criminale destabilizzazione dell’Iraq da parte del “miope Occidente” e la deposizione del suo storico Rais Saddam, il quadrilatero formato dalle aree di Mosul, Hamam al Alil, Al Shemal e Baiji, in Iraq è stato uno dei raccoglitori di figure terroristiche che hanno trovato, nello stato di anarchia iracheno, campo fertile alle loro “aspirazioni”.

Lo scaltro Abū Bakr al-Baghdādī, ha fondato la sua carriera di jihadista sulla base dell’esperienze avute sia come cittadino iracheno, sotto la presidenza di Saddam Hussein, sia come prigioniero degli statunitensi in un carcere a sud di Bagdad. L’uomo, nato in una famiglia povera a Samarra, a nord di Baghdad, vanta, in uno dei suoi curricula, studi di diritto frequentati in una modesta università di Bagdad, ma anche studi islamici che verosimilmente lo rafforzano nel costruire il suo profilo di imam. L’attività religiosa lo vede predicare in una moschea poco frequentata a Bagdad, nel 2003; tuttavia tale esperienza gli sviluppa “una chiara visione di dove voleva andare e dell’organizzazione che voleva creare”, cosi riferisce la cinquantenne giornalista reporter franco-marocchina, Sofia Amara, nata a Casablanca, specializzata nella politica del Vicino Oriente.

Nonostante sia stato uno studente poco brillante, al-Baghdadi compensava questa sua carenza con grande laboriosità e grande pazienza, un “pianificatore segreto”, riferisce Amara. Padre di cinque figli avuti da due matrimoni, dopo l’invasione americana del 2003, raccoglie un gruppo jihadista piuttosto disorganizzato e non numeroso; viene poi arrestato nel febbraio 2004 e imprigionato a nella enorme prigione di Bucca, un avamposto americano in Iraq, nei pressi di Umm Qasr, sul Golfo Persico in area sciita, organizzata e gestita dall’esercito statunitense. Il Camp Bucca, sarà soprannominato “l’università del jihad”, in quanto ricettacolo di detenzione, nel quale, ai notabili deposti del regime di Saddam Hussein, si affianca la “nebulosa jihadista”, composta da una pletora di “opportunisti” spesso sttoideologizzati che interpretavano e spacciavano la ribellione contro gli invasori occidentali, come un jihad contro i crociati.

Il salafita Dr. Ibrahim che ha scomodato, per assumersi il ruolo di Califfo, Abu Bakr (632-634) primo califfo “ben guidato” successore di Maometto, come richiamo religioso e Bagdad (Baghdadi), Medinat al-salām (città della pace), come connotazione politico-geografica, ha percorso nella fase della coabitazione/detenzione statunitense, il consueto, ma generalmente occulto, iter che prevedeva l’“ascolto” di ogni tipo di informatore utile alla comprensione dei “segreti” del vecchio potere politico iracheno. Tale contesto permise al “protocaliffo” di avere ambigui contatti con intriganti interlocutori e informatori anche di profilo internazionale, incontrati in aree geografiche sia irachene che siriane. In breve tempo vi fu la convinzione che l’ex “arbitro” di calcio Ibraim (liberato nel dicembre 2004 per mancanza di prove e che intanto aveva promesso fedeltà ad Abu Musab al-Zarqawi, e ottenuto la fiducia di al-Qaeda), aveva una mente strategica in grado di riunire vari componenti sia sociali che politici. Una decina di anni dopo, nei desertici ed insidiosi campi di battaglia del sedicente Stato islamico, l’esercito iracheno dovette affrontare gli ex comandanti dell’esercito di Saddam. Come sappiamo, le milizie jihadiste, rinvigorite anche da ufficiali provenienti da altri Stati, come Cecenia, Cina ed altre Nazioni, asiatiche, arabe e europee, sbaragliarono, prima dell’intervento anche iraniano a fianco dell’esercito iracheno, le truppe del mutilato Iraq.

Abu Bakr è apparso, dopo cinque anni, in un video di propaganda pubblicato il 29 aprile 2019 da Al-Furqan.; non è chiaro se il video è cosi recente, tuttavia, appare con una barba in parte pepe e sale, in parte rossa (una tintura trascurata), pingue, seduto sul pavimento, a parlare evocando gli attacchi mortali nello Sri Lanka rivendicati dalla sua organizzazione e una serie di programmi di geoterrorismo. Abu Bakr soffre di problemi diabetici e postumi di ferite; in più occasioni è stato dato per morto, per questo motivo è stato anche soprannominato il “fantasma”.

Dopo essere sopravvissuto a diversi attacchi aerei, sembra si fidi solo di tre persone, cosi riferisce Hicham al-Hashemi dell’Al-Furqan Media, specialista dei movimenti jihadisti: “il fratello più grande, Joumouaa, il suo autista e guardia del corpo Abdellatif al-Joubouri, amico fin dall’infanzia e la sua staffetta, Seoud al-Kourdi”; i “quattro” si trovano nella bādiyat al-Shām, una area desertica siriana (ovviamente) che fa parte dell’Al-Hamad, che occupa oltre parte della Siria, anche l’Iraq, la Giordania, e l’Arabia Saudita. Fu lì che suo figlio Houdhayfah al-Badri fu ucciso nel luglio 2018, colpito dall’effetto di tre missili tele-guidati russi nella grotta dove era nascosto.

Le informazioni sulla località dove è nascosto l’ex Califfo sono tuttavia dubbie, infatti le Forze Democratiche Siriane (Sds), alleanza arabo-curda che ha guidato la lotta contro l’Isis in Siria orientale, rileva che a marzo non risultavano informazioni sulla presenza di Baghdadi in quell’area. Nonostante la “leggenda” e la taglia di 25 milioni di dollari per la sua cattura è tutt’oggi, ritenuto l’antitesi del suo predecessore Osama bin Laden ucciso nel 2011; tale considerazione va letta soprattutto nella modalità di costruzione del pseudo Califfato, mai accettata dagli stati arabi, generalmente più propensi ad una visione panarabista o di nazionalismo arabo. Anche dai fatti avvenuti in Sri Lanka, si può capire, che al di la di quale fosse la matrice terroristica, al fine di rinverdire le “fronde”, l’ex Califfo non ha esitato ad attribuirsene la “gloria” quantomeno per non rischiare di cadere nell’oblio, e la successiva presenza mediatica forse è la conferma dei sui “timori”.

Aggiornato il 02 maggio 2019 alle ore 18:24