La miopia degli occhi a mandorla

Risale al maggio del 2018 la decisione dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) di includere la dipendenza dai videogiochi nell’elenco delle oltre 55mila malattie riconosciute in tutto il mondo. Decisione che, nonostante una ferma e piuttosto ovvia opposizione da parte dell’industria dei videogiochi, è stata poi ribadita a distanza di un anno in occasione della 72a edizione della World Health Assembly tenutosi a Ginevra, dove 194 esperti hanno messo ai voti e poi ufficialmente riconosciuto il “gaming disorder” come una nuova ma dilagante dipendenza patologica che caratterizza il mondo contemporaneo, soprattutto giovanile. In questo genere di patologia vanno inclusi tutti quei comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco su pc o consolle dedicate, caratterizzati da un mancato controllo sul gioco e da una sempre maggiore priorità data al gioco su tutte le altre componenti della vita del soggetto, nonostante le conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali e perfino occupazionali.

Ebbene, la Cina, il secondo mercato mondiale dopo gli Usa per utenti di videogiochi, è uno dei paesi che da anni considera la dipendenza dei più giovani dal gaming un fenomeno molto preoccupante e sta tentando di contenerlo con alcune progressive limitazioni. Già nel 2018 aveva annunciato l’istituzione di un regolamento per arginare la quantità di giochi online bloccando le autorizzazioni alla messa in commercio di nuovi titoli e l’obbligo sviluppare un sistema di limiti di età che ha reso necessaria l’esibizione della carta di identità per poter accedere ad alcune tipologie di gioco.

Ma una stretta di vite decisamente senza precedenti è stata messa in atto martedì scorso: ai minori di 18 anni non è più permesso di giocare più di un’ora e trenta al giorno durante l’anno scolastico, fino a tre ore solo nel corso delle vacanze. Inoltre, un coprifuoco virtuale, vieta ai minori di giocare nelle ore notturne, tra le 22 e le 8 del mattino. E anche gli acquisti inerenti ai giochi sono ormai contingentati, dato che le transazioni consentite non potranno superare i 25 euro mensili per i bambini di età compresa tra i 6 e i 16 anni e non più di 50 euro per i ragazzi tra i 16 e i 18 anni.

E infine, i dati raccolti grazie al documento necessario per accedere ai giochi, andranno a far parte di una banca dati statale che avrà l’obiettivo di conoscere e monitorare i consumi dei giovani per stilare una classifica dei videogiochi resi accessibili in base all’età. Questo genere di classifica esiste già sia in Europa che negli Stati Uniti ma, a differenza del paese asiatico, si tratta di raccomandazioni, non certo di divieti.

Queste restrizioni, sono state adottate ufficialmente da Pechino per due ordini di motivi, da un lato per il sempre peggiore rendimento scolastico degli alunni cinesi e dall’altro per il dilagare della miopia fra i giovanissimi: già adesso si riscontrano casi di miopia circa nell’80 per cento degli studenti che vivono in città e secondo le ultime previsioni entro il 2020 arriverà a colpire circa 700 milioni di persone. Il tutto però mal si concilia con il riconoscimento giunto a febbraio di quest’anno di alcune professioni legate agli e-sports, i giochi virtuali competitivi, tra cui gli “e-sports operator” e gli “e-sports professional” e con lo stanziamento di 145 milioni di dollari per la crescita del settore dei giochi competitivi, a partire da aliquote fiscali agevolate per i pro-player a cui è concesso anche un accesso facilitato al visto internazionale, fino ad un programma di benefici per giovani promesse asiatiche che prevede agevolazioni sull’acquisto della casa, programmi educativi specifici e altro ancora.

Addirittura, nella città di Hangzhou è stata creata una cittadella degli e-sport per formare ed allenare le prossime generazioni di pro-player. Insomma, un comportamento ondivago e poco chiaro nei confronti di un problema che necessiterebbe invece di maggiore chiarezza con l’intento, piuttosto che di reprimere o di osannare i giocatori, di educare i giovani a un uso sano del videogioco e, più in generale, ad un rapporto bilanciato con gli schermi di computer e smartphone, per aiutare a crescere le future generazioni con una consapevolezza nuova dei rischi associati agli eccessi del gaming.

Aggiornato il 13 novembre 2019 alle ore 12:59