Africa: le radici delle antidemocrazie

Che la democrazia in Africa possa essere un’utopia è cosa nota; sappiamo che questa forma di organizzazione e di rappresentanza sociale è una elaborazione di concetti filosofici appartenenti al Continente europeo, frutto di pensieri come quello di Pericle, con le complementari accezioni aristoteliche. È opinione diffusa che la democrazia è un “sistema” che è possibile applicarlo a società predisposte socialmente e culturalmente recettive, che la democrazia è quindi un “marchio geopolitico”, ma è anche vero che la democrazia non è il miglior modo né per organizzare la società, né per eleggere i migliori della società stessa che dovranno poi governarla, ma oggi un sistema più soddisfacente non è disponibile.

In Africa le comunità hanno storie e realtà socio-antropologiche diverse ed articolate: sistemi organizzativi tribali si confondono con tradizioni ancestrali, “corroborate” da fattori religiosi e da forme dittatoriali congenite. Così come già espresso in un mio precedente articolo, gli avvicendamenti dei governi in Stati africani avvengono facilmente con colpi di Stato o, quando non si verificano, assistiamo a presidenti in carica a vita o quasi.

Vediamo così che sette dei dieci presidenti più longevi del pianeta sono africani; tra di essi troviamo il camerunese Paul Biya, al potere dal 1982, come Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, che governa la Guinea Equatoriale dal 1979.

Ad agosto il partito al governo in Guinea ha proposto al presidente 82enne Alpha Condé di candidarsi per la terza volta; contemporaneamente, il presidente ivoriano Alassane Ouattara (78 anni) ha confermato che cercherà di ottenere il suo terzo mandato alle prossime elezioni di ottobre; la stessa “consuetudine” si sta verificando in Costa d’Avorio.

Tali situazioni politiche attestano che l’Africa è lontana dall’aver concluso l’epoca dei presidenti eletti a vita o quasi, nati su necessità sociologiche derivanti dal raggiungimento dell’indipendenza a seguito della decolonizzazione. Tali casi di autoritarismo cronico congenito hanno garantito, sì una stabilità sociale, anche se difficile, ovviamente non su basi democratiche, ma sono stati deleteri per uno sviluppo socioeconomico. L’Unione Africana (Ua), la cui madre è stata l’Organizzazione dell’Unione Africana (Oua) formata nel 1963, nasce con l’unione di trentadue Stati africani che avevano ottenuto l’indipendenza. Lo scopo era quello di consolidare la cooperazione nell’ambito della solidarietà e dell’unità tra i membri; oggi conta cinquantacinque Stati. In questi ultimi vent’anni l’Unione Africana, insieme alla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), ha cercato di sviluppare sistemi per osteggiare e scongiurare sia i colpi di Stato che le perenni presidenze ed i terzi mandati, ma senza successo; infatti l’Ua non è ancora riuscita a risolvere il problema delle presidenze imperiali. Il risultato è che questa inerzia e debolezza politica delle Organizzazione citate, fanno apparire i pomposi “vertici” celebrati, per esempio nella sede dell’Ua ad Addis Abeba, come un club privato dei leader in carica, che con l’occasione si dilettano ai più svariati svaghi.

Ricordo che Alpha Condé ha preso il potere nel 2010 dopo aver vinto le prime elezioni pluraliste organizzate in Guinea dopo il decesso di Lansana Conté avvenuto nel 2008; il governo da lui formato è nato come un governo di transizione, ma l’adozione di una nuova costituzione piuttosto personalizzata ha imbrigliato gli oppositori e blindato il suo potere. Nel 2010, raggiunto formalmente il potere, Condé ha rapidamente consolidato la sua autorità attraverso l’egemonia del suo partito, il Raggruppamento del Popolo Guineano, prima di essere rieletto nel 2015. Nel 2019, il suo governo ha annunciato l’intenzione di adottare una nuova costituzione volta ad aggirare una disposizione che vieta la modifica del limite di due mandati presidenziali. Tuttavia le critiche feroci dell’opposizione hanno costretto le autorità a celebrare il referendum costituzionale, che si è tenuto il 31 marzo 2020 e ha portato all’adozione della nuova Costituzione. Ma come accade anche in Occidente, nonostante che il referendum abbia confermato il limite di due mandati, non specifica il caso di chi abbia già governato prima della sua entrata in vigore, il che lascia a Condé la possibilità di richiedere due nuovi mandati e di rimanere a capo del Paese fino al 2032. Le elezioni dovrebbero tenersi il 18 ottobre; ad oggi Alpha Condé non ha ancora confermato la sua candidatura per un terzo mandato e i gruppi di opposizione devono ancora presentare i loro candidati. In considerazione delle pesanti coercizioni applicate dal presidente sulle risorse statali, sulla commissione elettorale, sulle amministrazione pubbliche e sulle forze di sicurezza, nonché le limitazioni imposte ai gruppi di opposizione, è molto probabile che le elezioni non saranno libere, garantendosi così la vittoria.

Il termine dei due mandati ha indotto i leader africani ad avvicinarsi a “sfumature” democratiche, come vediamo applicate in Sierra Leone nel 2018, nella Repubblica Democratica del Congo nel 2019, o come in Liberia nel 2017, dove le elezioni, caratterizzate da una forte concorrenza, sono state vinte dall’opposizione. Per contro molti presidenti hanno cambiato la costituzione per prolungare i mandati, come in Togo, Gabon, Costa d’Avorio e appunto in Guinea.

Questi abusi di potere dimostrano che c’è ancora molta strada da fare prima che questa pratica venga sradicata. Va ricordato che molti flussi migratori sono composti da cittadini provenienti da questi Paesi dove la democrazia è un concetto teorico e spesso malvisto anche in rispetto, in molti casi, della religione; la difficoltà di molti migranti ad osservare i principi democratici, come vediamo nella nostra realtà, è spesso un “disimpegno morale” legato alla perversa attrazione verso un Paese dove la democrazia apparentemente vige.

Aggiornato il 02 settembre 2020 alle ore 10:57