Meno repressione, più pene alternative

In questo 25 aprile non è la Liberazione ma il carcere a mettere in marcia a Roma Marco Pannella e quanti sostengono il suo appello "per l'amnistia, la giustizia e la libertà" con cui si chiede al Parlamento «un impegno concreto e solerte, adeguato ad affrontare le drammatiche condizioni in cui versano la giustizia e le carceri». All'iniziativa, tra i numerosi altri, hanno aderito deputati e senatori di diversi schieramenti, esprimendo un preciso segnale di volontà politica.

Ci si augura che i parlamentari tengano a mente il significato della marcia anche quando si applicano in Aula nella complessa materia della giustizia. Perché l'amnistia e l'indulto sono provvedimenti necessari ad arginare la crisi della situazione carceraria e del sistema giudiziario. Ma non sono sufficienti a risolverla. Intanto occorre intendersi sull'entità dell'amnistia (e dell'indulto): l'inciviltà delle condizioni delle carceri italiane e lo stallo della macchina giudiziaria richiedono provvedimenti che non soffrano delle eccezioni che stanno a cuore al potenziale elettorato delle varie forze politiche. Altrimenti l'effetto svuota-carcere e svuota-armadi non potrà che essere marginale.

Insomma, se amnistia deve essere deve trattarsi di amnistia generosa, che non faccia differenze tra ladri di polli e colletti bianchi. Poi, è necessario aver presente che amnistia e indulto servono essenzialmente a creare le condizioni per avviare una riforma organica del nostro sistema penale a partire da quello sanzionatorio e cautelare. Il che innanzitutto comporta interrompere l'attività carcerogena in cui il Parlamento si impegna quando deve affrontare un fenomeno di malasocietà. Il recente dibattito sulle misure anti-corruzione ne costituisce solo l'ultimo esempio: l'unica risposta che la politica rende ai fatti di allarme sociale, veri o presunti, è più pena, più reati, più carcerazione preventiva. Che si tratti di incidenti stradali, di sicurezza, di violenza sessuale, di droga, di omofobia, di corruzione, di falso in bilancio, non fa differenza.

Se non si inverte questa tendenza alla panpenalizzazione non ci sarà amnistia che possa reggere l'impatto della costante crescita del repertorio repressivo. Una rivoluzione del sistema sanzionatorio che metta in testa pene diverse dal carcere e in coda quella della reclusione, la decriminalizzazione dei comportamenti che non ledono concretamente i beni tutelati, a partire da quelli  strettamente personali come il consumo di droghe, la revisione della custodia cautelare che la faccia diventare una vera eccezione alla regola che il processo si fa in stato di libertà. Sono i primi interventi di riforma che dovrebbe promuovere chi oggi assume seriamente l'impegno ad affrontare le condizioni in cui versano le carceri e la giustizia italiane.

Ci vuole coraggio. Bisogna accettare il rischio della perdita del consenso alimentato con la promessa "più carcere per tutti" che ogni forza politica ha offerto al proprio elettorato, con le irrilevanti differenze del caso. È necessario che il Parlamento si liberi dalla dislessia legislativa e politica che lo porta a svolgere accorati dibattiti sulla situazione carceraria e nel contempo a infarcire i codici di nuovi reati, di aumenti di pene e di automatismi nell'applicazione della custodia cautelare. Ci vuole coraggio e testa, insomma. Ma è questo che si chiede ai parlamentari. I loro piedi non bastano.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:53