Dopo Madrid, anche Roma corre ai ripari

Proprio come i tre birilli finali del bowling, Grecia, Spagna e Italia rischiano di cadere giù, trascinati l'uno dall'altro. E pur di non cadere spinti da Atene, visto che domenica 17 in Grecia si terrà un vero e proprio referendum sull'Euro, a Madrid e a Roma stanno correndo ai ripari. Vedi l'annuncio immediato fatto ieri da Grilli di vendita a Cassa depositi e prestiti, società per azioni a controllo pubblico, delle società Fintecna, Sace e Simest.

Obiettivo dell'operazione? «Avrà un impatto importantissimo sulle entrate dello stato: stimiamo questa operazione in circa 10 miliardi di euro». Un annuncio che segue prima l'apertura di Monti all'ipotesi di vendere immobili pubblici poi, sul fronte politico interno, la richiesta ai partiti della maggioranza di un "mandato forte" per varare riforme urgenti. Se è un segnale, ieri lo spread Btp/Bund ha chiuso in ribasso a 436 punti di differenza.

Occorre però andare con ordine. Sabato scorso il governo spagnolo aveva ottenuto il via libera dall'Eurogruppo per il piano di salvataggio da 100 miliardi: l'emergenza era il patrimonio delle banche iberiche, secondo tutti troppo sottocapitalizzate. Nel giro di 48 ore però la sfiducia delle Borse ha costretto un'agenzia minore come Egan-Jones a declassare, per la quarta volta consecutiva in un mese, i titoli spagnoli fino a junk ("spazzatura") con voto CCC+. Secondo Egan-Jones, Madrid - soffocata dalla spirale dei debiti bancari - ha il 18% di probabilità di finire in default l'anno prossimo. Allora alla comunità finanziaria era apparso prematuro.

Forse. Perché mercoledì è arrivata la bocciatura di un big del rating finanziario come Moody's: dagli analisti newyorkesi la Spagna è giudicato ormai debitore poco affidabile, se ha declassato il suo debito di ben tre gradini, da "A3" a "BAA32". Un gradino sopra il livello spazzatura. Moody's prevede che il rapporto debito-Pil crescerà al 90% quest'anno, in aumento «fino alla metà del decennio».  A conferma della diagnosi, giovedì lo spread fra Bonos spagnoli e Bund tedeschi è schizzato a quota 552 punti base, con i tassi che sfiorano il 7%. È allarme rosso.

A Roma nel frattempo, benchè alle spalle si abbia la più stabile e affidabile delle tre economie mediterranee, pure, si balla. Mercoledì c'era stato il rialzo dei BoT annuali che, seppur stravenduti dal Tesoro, erano stati collocati quasi al 4%. Giovedì altro giro, altro rialzo. Complici i dati ufficiali sullo stock di debito pubblico resi noti da Bankitalia (il nuovo record è quota 1.948,584 miliardi di euro), l'asta prevista per i Btp a tre anni ha portato di nuovo su i tassi: prestare soldi allo Stato italiano a tre anni ora costa il 5,30% dal 3,91% dell'analoga asta di maggio. Il massimo da dicembre, quando la febbre era di nuovo a 39. Ma chi detiene oggi più quote del debito di questi Paesi? «Difficile dire chi oggi detenga più quote dei debiti sovrani: la platea degli investitori è sempre varia fra assicurazioni, fondi di investimento. E soprattutto banche», dice all'Opinione Mario Seminerio , economista ed analista finanziario. «Una cosa ormai è certa: il destino delle banche è strettamente intrecciato a quello del rischio-Paese».

Il caso italiano ci dice che ad aprile di quest'anno gli istituti italiani detenevano 327,5 miliardi di euro di titoli di Stato: un incremento di circa il 32,3% rispetto a novembre. «Anche se questo numero non è disaggregato, è verosimile attendersi che in larga maggioranza si tratti di titoli di Stato italiani», sostiene Seminerio sul suo blog Phastidio. In assoluto un'interdipendenza pericolosa? «Non sempre. Ad esempio, in base ad un rapporto OCSE citato da FT-Alphaville, le banche tedesche hanno ampiamente beneficiato della garanzia federale. Il che significa che se il Paese è stabile e forte si può persino creare un virtuosismo».

Tuttavia non è il caso dell'economie mediterranee, dove si vanno aggiungendo sofferenze a sofferenze. Quanto alle banche italiane è un dato di fatto che si trovino anch'esse in condizione di grande fragilità: «Il rischio per gli istituti è che si crei un avvitamento per cui crediti inesigibili, dovuti a un'economia che non cresce e dunque in recessione profonda, porti a erodere il capitale», spiega Seminerio. Banche che, oltretutto, hanno già da mesi stretto i cordoni della borsa in fatto di mutui e fidi alle imprese. La speranza è che, come sta accadendo in Grecia, non siano costretti anche a chiudere gli sportelli ai singoli cittadini, terrorizzati all'idea di non vedere più i propri quattrini.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:15