Contro la crisi l'unica arma è il buonsenso

Mai così in basso. La classe politica italiana sta dimostrando una incapacità e una inettitudine mai riscontrata nella storia della Repubblica. Viviamo il periodo più difficile e pericoloso del dopoguerra senza un programma condiviso, senza un patto sociale, senza una strategia unitaria per l'emergenza. Non stiamo affrontando solo una crisi economica drammatica e globale causata dal debito pubblico e dall'uso vergognoso del bene comune. Oggi si sta combattendo una pericolosa e complicata guerra economico-finanziaria che vede schierati ora insieme, in una insolita alleanza, ora avversari, gruppi del moderno "capitalcomunismo" cinese, compagnie multinazionali d'oriente e d'occidente e alcuni stati arabi del petrolio, amici e nemici uniti nella conquista delle ricchezze di una debolissima Europa. Nessuno di loro vuole e può mancare alla spartizione delle spoglie di quella che è stata per millenni la padrona del mondo. E i paesi centro e nord europei sono tentati, sempre più, di offrire al "mercato", in cambio della pace economica, qualcuna delle fragili nazioni mediterranee. È una nemesi storica. Il crollo del sistema monetario e amministrativo in Europa e le difficoltà degli stati Uniti hanno origini lontane e profonde. Iniziano con la guerra fredda che ha costretto i due blocchi egemoni in lotta ad affrontare guerre costosissime e spese insostenibili come nella disfatta del Vietnam e nella corsa al controllo missilistico dello spazio. 

Iniziano con l'impoverimento delle colonie, che sfruttate fino all'esaurimento, sono state colpevolmente ridotte in una condizione di endemica povertà. Iniziano con la libertà e l'impunità assoluta degli speculatori e delle grandi multinazionali che hanno accumulato capitali e bilanci attivi superiori a quelli di interi stati gestendoli, sul cosiddetto mercato, con uno spietato cinismo e con un egoismo immorale, fino a mettere a repentaglio la sopravvivenza di popoli e nazioni. Iniziano con la morte delle ideologie che, dopo l'autodistruzione dell'Unione Sovietica, si sono polverizzate scatenando la lotta per la creazione di un nuovo ordine mondiale e lasciando fiorire al loro posto, in paesi come l'Italia, partiti personali fondati sull'interesse e sull'ambizione di piccoli gruppi autoreferenti. Iniziano con la globalizzazione selvaggia che scardina il dominio dei governi della vecchia Europa e dell'America trasferendo una considerevole parte di potere a stati emergenti come la Cina e, ancor più, ai grandi gruppi finanziari internazionali, costituiti dalle smisurate masse di petrodollari dei paesi islamici e dalle enormi risorse dei fondi nordamericani. Iniziano con la progressiva diminuzione delle libertà personali attraverso l'utilizzazione perversa delle nuove tecnologie sia nei metodi di produzione e vendita, sia nel controllo della sfera più intima dei cittadini in nome dell'evasione fiscale, della sicurezza, della migliore qualità della vita. Così le persone, centro sacro della comunità umana, vengono trasformate, sempre più, in sudditi, in "servi globalizzati", in numeri statistici. Ma iniziano soprattutto con le malattie della politica che, priva delle radici etiche, perde il suo ruolo guida. 

Ora siamo giunti alla resa dei conti. La democrazia occidentale, oramai, non è più in grado di affrontare i travolgenti problemi che la velocità di trasformazione della vita planetaria e la rivoluzione scientifica, tecnologica e socio-economica stanno provocando in ogni fibra del tessuto sociale, sconvolgendo e abbattendo gli antichi pilastri posti a sostegno della vita civile, perfino quelli innalzati dalla forza della fede religiosa. 

Gli stati autoritari come la Cina, i paesi islamici, i grandi gruppi economici e i centri finanziari, sono in grado di prendere decisioni immediate, senza renderne conto a nessuno. I governi e i parlamenti occidentali, per deliberare, sono costretti ad interminabili procedure. La democrazia rappresentativa fondata sulla delega che i cittadini concedono ai loro eletti attraverso il voto, non funziona più. Le istituzioni, in contraddizione e spesso in lotta tra loro, hanno perso autorevolezza ed efficacia. I delegati, in un delirio di onnipotenza e di arroganza, sono diventati, come gli eunuchi delle corti bizantine, una casta parassitaria sempre più invisa al popolo. Invece che giocare su modifiche truffaldine alla legge elettorale per conservare seggi e privilegi, sarebbe indispensabile affrontare il tema scomodo e dimenticato della democrazia partecipativa e avviare riforme radicali al sistema politico. È necessario rinnovare le istituzioni e trovare nuovi equilibri tra poteri e ordini dello stato. È necessario che i cittadini diventino protagonisti della vita sociale e che possano godere del reale diritto di controllo sul bene comune e sulla sua gestione. Le nuove generazioni devono trovare spazio e sostegno per diventare classe dirigente secondo il merito e la capacità. Solamente se la politica riuscirà a rigenerarsi totalmente e a trovare il suo ruolo di guida autorevole e illuminata della comunità, potranno essere affrontate le crisi drammatiche che stanno investendo come uno tsunami l'intero pianeta, sconvolto da tensioni internazionali, da guerre, da terrorismo e da lotte economico-finanziarie devastanti. Le fasce di povertà si stanno allargando a dismisura. Ai paesi del cosiddetto terzo mondo tra poco dovremo aggiungere qualche nazione europea ridotta, come la nobile e colta Grecia, a mendicare aiuti imposti a prezzi di usura. 

Così avremo anche la globalizzazione dei poveri. Di fronte a questo momento drammatico che stiamo vivendo, noto a tutti da tempo, i politici italiani sembrano degli alieni. Mentre difendono con ogni energia il piccolo e illusorio potere conquistato, il loro paese sprofonda sempre più in una crisi che sta provocando guasti irreparabili. La vecchia classe dirigente, responsabile della disastrosa gestione della "res publica", deve essere sostituita d'urgenza. Nei secoli scorsi erano le rivoluzioni cruente ad abbattere i regimi. Oggi basterebbe un atto di responsabilità e di buon senso. Chi affiderebbe allo stesso chirurgo incapace che sta uccidendo il paziente la cura del malato? Basterebbe che i responsabili di questi ultimi vent'anni di pessima e corrotta amministrazione dello stato offrissero le dimissioni da ogni incarico pubblico e di partito lasciando che dalle categorie, dalle professioni e dal volontariato, emergessero le forze sane e competenti del paese. Ci siamo resi conto che abbiamo avuto e abbiamo, ministri, governatori, sindaci, che sarebbe sconsigliabile e pericoloso porre alla guida di un piccolo condominio. Ora che li abbiamo visti all'opera, c'è un'unica cosa da fare per il bene di tutti, anche per il loro: mandarli a casa.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:55