Se la spuntasse Frau Merkel

Per capire il presente è necessario ricordare il passato. Sulle scelte e sul destino dei popoli europei pesano millenni di storia. Storia cruenta. Guerre, carneficine, genocidi, deportazioni di massa, paure, rivalità, vendette, odi incancellabili. Secoli e secoli di scontri sanguinosi esportati in tutto il mondo come un morbo incurabile, come una inarrestabile malattia diffusiva. Secoli di lotte per la supremazia, per l’espansione territoriale, per la religione, per l’eliminazione del nemico. Secoli di conflitti spietati, di massacri, di schiavitù. Secoli di campagne militari e di battaglie, sulla terra e sul mare, per la conquista delle colonie, per l’occupazione di stati, di nazioni e di continenti, come la Cina, l’India, il Medio Oriente, le Americhe, l’Africa, l’Oceania. E sempre nel nome di un interesse “superiore”, di una nobile bandiera, di una  civiltà più grande, di un Dio esclusivo, del progresso umano. Azioni necessarie, atti d’amore e di generosità verso un mondo primitivo e arretrato?

Così noi europei abbiamo civilizzato, sterminandoli, barbari e selvaggi, gialli e neri, bianchi e rossi, comunità e tribù, uomini e donne. Le nazioni del Vecchio continente hanno combattuto tra loro guerre interminabili e devastanti per l’egemonia e per il possesso del territorio e delle sue ricchezze fin da quando erano organizzate in clan e in gruppi tribali. Iniziarono a scannarsi tra loro i latini, i celti, gli iberi, i belgi, gli alemanni, gli angli. Poi proseguirono, con alterne vicende, gli spagnoli, i francesi, gli inglesi, i tedeschi. Fino a pochi decenni fa. Ora facciamo finta di niente. Tutti affermano che l’Europa deve affrontare unita la crisi contro i mercati e contro gli speculatori. Ma la memoria collettiva, sia del vinto che del vincitore, è  patrimonio genetico indelebile, anche quando gli eventi e i traumi sembrano sparire nell’inconscio delle generazioni e dissolversi nelle nebbie del tempo. Le antiche diffidenze, le paure, la volontà di dominio, in realtà, sono ancora presenti, ancor più oggi di fronte ad una crisi economica che rischia di distruggere il benessere conquistato. Quanto è unita questa Europa dell’euro? Molto poco. In realtà alcuni paesi europei sono in bilico su una voragine di debiti e di fragilità sociali e politiche che spaventano la Germania e gli Stati Uniti. Gli interessi nazionali in questo momento sono contrastanti.

L’aggressione finanziaria all’economia occidentale da parte degli immensi capitali controllati dal mondo islamico e dagli stati emergenti colpisce le nazioni più deboli che hanno vissuto per decenni sopra le loro possibilità reali, sperperando risorse e ricchezze. La Germania, l’unico colosso economico-industriale europeo competitivo a livello mondiale, ha già fatto le sue alleanze internazionali, anche in previsione di conflitti assai più gravi delle attuali emergenze finanziarie. I tedeschi non si fidano della classe dirigente italiana, Neanche i francesi e gli inglesi si fidano dell’Italia. E nemmeno gli americani. Di fronte ad uno scenario mondiale disseminato di aree di crisi che possono deflagrare rapidamente, nel nord dell’Africa  come nel medio Oriente ed in Asia, l’Italia resta importante solo per la sua posizione strategica nel Mediterraneo. Tuttavia viene considerata un paese debole per la pessima gestione amministrativa e per la conclamata incapacità e inaffidabilità dei governi, di destra, di centro e di sinistra, che si sono succeduti.

La litigiosità permanente dei partiti che si stanno polverizzando in centinaia di liste personali e civiche, gli scontri e gli squilibri tra le Istituzioni dello Stato, i ricatti sociali di sindacati che sono anche azienda e partito, gli sprechi inaccettabili dei politici, l’inefficienza e la vischiosità di una burocrazia elefantiaca, la presenza di una criminalità organizzata che controlla intere regioni, la corruzione dilagante fanno considerare la nostra nazione un paese da tenere attentamente sotto vigilanza. Invece che lavorare in silenzio ed umiltà alla realizzazione di un granitico patto sociale che salvi l’Italia dal fallimento e dalla perdita delle sue ricchezze economiche e culturali, i nostri leaders politici si esercitano, ogni giorno, a rilasciare dichiarazioni destabilizzanti, interviste desolanti, proposte sconsiderate. Queste esternazioni da terzo mondo le ascoltiamo noi, ma le ascoltano anche i nostri alleati e nostri antagonisti.

Per un tedesco, per un francese, per un inglese, per un americano, aiutare l’Italia significa buttare il danaro in un pozzo senza fondo, significa affidare il frutto dei propri sacrifici ad una casta arrogante e corrotta, dedita agli sprechi e alle chiacchiere. Mentre sull’Europa si è scatenata la speculazione dei cosiddetti mercati e l’aggressione finanziaria di quei paesi che hanno molti e secolari conti in sospeso con il Vecchio continente, noi, invece di risolvere in modo unitario i problemi di bilancio utilizzando in maniera equa ed efficace le grandi risorse umane e produttive di cui disponiamo, strangoliamo con le tasse il ceto medio e le fasce più deboli. Poi chiediamo sostegno e aiuto agli altri stati. Con la globalizzazione inarrestabile, con la rivoluzione tecnologica, con l’esponenziale crescita demografica, la visione eurocentrica del pianeta è diventata  una nostalgica velleità di una classe politica in via di estinzione, come quella italiana. Solamente una destra priva di cultura e piena di arroganza  e una sinistra prigioniera della presunzione dei ricchi salotti e delle contraddizioni ideologiche, possono credere, e tentare di far credere, che l’Italia possa condizionare la scelte strategiche delle nazioni più potenti e dei gruppi finanziari più importanti. Non è possibile assistere a questo gioco suicida fatto di veti incrociati, di risse, di paralisi gestionale, di perenni ed insulse campagne elettorali. Vanno fatti tagli drastici, e subito, alla spesa pubblica oramai fuori controllo.

Solo fermando questa inarrestabile emorragia possiamo evitare il collasso ed ottenere credibilità e rispetto da parte degli alleati. Come pensiamo di pretendere che la Germania venga a condividere i nostri debiti quando questi, negli ultimi quattro mesi, malgrado il governo dei tecnici e le esortazioni,  sono aumentati di oltre quaranta miliardi di euro? È necessario, sempre più, che la vecchia casta politica faccia un passo indietro. È necessario dimostrare che esiste un’altra Italia, che sta nascendo una nuova classe dirigente in grado di sostituire intere generazioni vissute all’ombra dei privilegi, una nuova classe dirigente che sia espressione di una democrazia partecipativa capace di affrontare con decisione e chiarezza tempi che diventeranno sempre più critici e che sappia applicare con rigore regole di risparmio ripartite con imparzialità ed intelligenza. E’ necessario abbandonare polemiche inutili, superare le divisioni ideologiche fomentate dai seminatori di odio, dimostrare al mondo che noi italiani sappiamo superare meglio degli altri i momenti difficili e le sfide del terzo millennio. Anche senza la Germania. Se lo vogliamo.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:05