Solo Monti ci salverà da Bersani

La gioiosa macchina da guerra 2.0 scalda i motori, scalpita, non vede l’ora di prendersi tutto il bottino, non pensa minimamente di condividerlo. Altro che Monti-bis, sarà un governo al 100% politico, con Bersani che si sente Hollande (e D’Alema e Casini che sognano il Colle). La tentazione di andare al voto anticipato a novembre è sempre più forte, straripante nel Pd. Bisogna anticipare imprevisti, colpi di scena, come quello che nel ‘94 li fece rimanere a bocca asciutta. E tra le motivazioni inconfessabili, non ultima la possibilità di far saltare i tagli alla spesa allo studio e quelli già decisi la cui attuazione è prevista entro fine anno (pubblico impiego, ma anche la riduzione dei parlamentari).

D’altra parte, e sono gli argomenti “presentabili”, i mercati non danno respiro nemmeno al governo tecnico e soffrono l’incertezza politica. Poi vedete, cari Monti e Napolitano, com’è inaffidabile il Pdl che vota in ordine sparso sul fiscal compact, sabota le riforme con il semipresidenzialismo e ricandida Berlusconi? Ci vuole una maggioranza «univoca». Ma il presidente Napolitano ha avvertito che non si va al voto senza una nuova legge elettorale. Per questo il Pd la vorrebbe prima della fine dell’estate, mentre il Pdl non ha alcuna fretta. Bersani ha definito «stravagante» discutere di voto a novembre, ma non l’ha nemmeno escluso: «A settembre-ottobre vediamo com’è, non sappiamo come passiamo agosto». Più che un indizio: subito la legge elettorale, «poi si vede», cioè da quel momento in poi l’opzione/ricatto delle urne sarebbe esercitabile a seconda della convenienza. In atto il tentativo – da capire se con o senza il concorso di Napolitano e Monti – di marginalizzare il Pdl, presentandolo come forza irresponsabile, inaffidabile oggi con Monti, figuriamoci in una eventuale grande coalizione che dovesse rendersi necessaria in futuro.

Lo schema è quello di una sorta di nuovo “arco costituzionale”: il Pd come perno, con alleati di governo l’Udc alla sua destra o Vendola e Idv a sinistra, o entrambi se disponibili alle “larghe intese”. Questa per Bersani l’area del «patto progressisti-moderati» per uscire dalla crisi, mentre il Pdl rientra tra i «populismi». In queste ore, e nelle prossime settimane, si farà di tutto per enfatizzare le presunte prove di irresponsabilità del Pdl, che dovrebbe quindi evitare di offrire pretesti, e per rinsaldare il patto Pd-Udc. Ma è ingenuo, o in malafede, chi crede che il Pd sia un affidabile prosecutore della cosiddetta “agenda Monti”, sulla quale Bersani continua a mostrarsi evasivo e in totale stato confusionale, come mostra il suo intervento al convegno di ieri e l’attacco al cuore della spending review, indicando nei due settori più “spendaccioni”, enti locali e sanità, i «2-3 punti da cambiare». Ad allarmare i mercati più dell’incertezza sul futuro politico del paese è solo la quasi-certezza di un governo egemonizzato dalla sinistra politica e sindacale (le cui spinte Casini non riuscirebbe a controbilanciare). Ma è proprio questo lo scenario verso cui stiamo precipitando con le mosse di Bersani-D’Alema-Casini, e stante l’estrema debolezza del Pdl e l’assenza di nuove offerte politiche nel centrodestra.

Bisogna darsi una mossa, o c’è il rischio di non dare ai cittadini una vera alternativa al governo Bersani-Camusso, nemmeno la speranza di un Monti-bis. Rompa gli indugi il Pdl, escano allo scoperto i “montiani” del Pd, si facciano vive nuove offerte politiche liberali, se ci sono, si mobilitino le forze produttive, ma bisogna chiedere a Monti di restare, e di candidarsi, se si vuole arrestare la gioiosa macchina da guerra 2.0.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:19