Al Colle un Presidente non di sinistra

A prescindere da chi conquisterà il governo del Paese, per quanto riguarda il Quirinale è arrivato il momento di tornare a un’alternanza che da parecchi anni è stata oscuramente ignorata. È giunto il momento, in sostanza, che al Colle prenda residenza un uomo che non sia di sinistra o che su azioni impregnate d’idee di sinistra scelga di fondare il proprio settennato. Poco dopo l’insediamento del nuovo esecutivo nazionale, il quasi ottantottenne Giorgio Napolitano (scelto dal Parlamento il 15 maggio 2006, 2° governo di Romano Prodi) chiuderà la propria carriera di Capo dello Stato. Se, di norma, il nome del successore comincia a circolare con largo anticipo, quest’anno, a circa un mese e mezzo dalle “politiche” (24 e 25 febbraio) l’incertezza è forte.

Ciononostante un’esigua truppa di possibili eredi è concepibile ipotizzarla, seppure con un discreto margine d’errore. Prima dell’uragano Mani Pulite, esisteva un gentlemen agreement fra sinistra e Democrazia Cristiana, secondo il quale vi doveva essere un costante e inviolabile avvicendamento al Colle fra un esponente del partito di maggioranza e uno che fosse più “simpatico” al Partito Comunista. In teoria sarebbe stato auspicabile, vista anche la necessità di contare su una figura sopra le parti, che la suddetta intesa avesse una propria continuazione nella Seconda Repubblica, in ragione soprattutto del fatto che la politica italiana cominciò a incentrarsi sul bipolarismo. La cosa è affatto avvenuta, se si esclude la parentesi di Francesco Cossiga “picconatore” a destra e a manca.

E così l’Italia s’è vista imporre i vari Oscar Luigi Scalfaro, spudoratamente mescolato alla sinistra, il più moderato ma non certo espressione del centrodestra, Carlo Azeglio Ciampi, per giungere al presente con il comunista moderato Napolitano. Per l’immediato futuro, quindi, come suddetto, il quadro è a tinte fosche. Subito va detto che la provocatoria proposta di Silvio Berlusconi – che ha negato di aver mai ambito egli stesso a ricoprire il ruolo - di mettere Mario Draghi sul “trono” che un tempo spettò al re d’Italia, è stata istantaneamente polverizzata da un comunicato dello stesso presidente della Banca centrale europea, il quale ha ricordato di essere determinato a concludere nel ben lontano 2019 la sua rilevante funzione presso l’Eurotorre.

Allo stesso modo è evaporata in maniera risibile l’ipotesi Mario Monti, che dopo aver per mesi fatto intendere di non essere intenzionato a “salire” in politica, si è smentito proponendosi per la presidenza del Consiglio. Perciò in lizza, stando ai proverbiali rumors, diversi “notabili”: Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Luciano Violante, Rosi Bindi, Romano Prodi, Franco Marini, Stefano Rodotà, Gianni Letta, Emma Bonino e Pierferdinando Casini. Alla faccia dell’alternanza, è facile notare che, a esclusione degli ultimi tre, signore e signori che li precedono danno tutt’altro che garanzia di equidistanza. Con assai meno credenziali di vittoria, ai nastri di partenza si sistemano Renato Schifani, Gianfranco Fini e Beppe Pisanu. Banalmente, non resta che attendere.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:45