La questione diritti umani nelle carceri

Presso la Casa Circondariale del Carcere di Saluzzo (Torino) la scorsa settimana si è tenuto un importante convegno relativo alle esperienze compiute in Francia e in parte in Italia, all’interno di programmi di collaborazione e “partenariato tra sistema pubblico e privato” nell’ambito del sistema complesso di gestione del carcere. Al convegno hanno partecipato, per il Ministero della Giustizia, il consigliere Alfonso Sabella, magistrato, Direttore generale del “Dipartimento delle Risorse materiali dei Beni e Servizi” (DAP) e il dr. Enrico Sbriglia, Provveditore della regione Piemonte e Val D’Aosta del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ospite il direttore del carcere dr. Giorgio Leggieri. Per la parte privata erano presenti il dr. Dino Tessa della Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri (www.casadicarita.org), il dr. Giacomo Sarti del Consorzio O.P.E.N. Offenders Pathways to Employment National Network (www.openconsorzio.org), il dr. Giovanni Pescatori di Cofely Italia (www.cofely-gdfsuez.it), Bertrand Amelot direttore dello sviluppo di GEPSA, operatore francese di servizi pubblici controllata Cofely.

L’intera giornata è stata dedicata ad esaminare le forme di collaborazione già in atto in Francia e parzialmente anche in Italia tra sistema pubblico e sistema privato alla luce delle complesse esigenze che vedono comunque lo Stato spesso incapace, nonostante la buona volontà degli operatori penitenziari, impossibilitato a gestire le tante attività che sono presenti dentro la realtà carceraria. Specialmente, ma non solo, per quanto riguarda la formazione culturale e lavorativa dei detenuti in vista del termine della pena per un nuovo inserimento civile nella società. Chi scrive ha partecipato al convegno come esponente della LIDU, la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, membro della AEDDH "Association Européenne pour la Défence des Droits de l’Homme", invitato in quanto già consulente del ministero della Giustizia per il “Piano carceri”. Dall’esposizione fatta dai rappresentanti delle diverse associazioni e consorzi intervenuti, di fronte ad una folta e qualificata platea di pubblico che gremiva il teatro interno del carcere, è emerso un quadro estremamente positivo circa i risultati reali ottenuti da anni in Francia ed ora parzialmente anche in Italia in merito alla stretta ed efficiente collaborazione tra apparato pubblico, responsabile del controllo e della sicurezza, e il programma gestionale affidato alla efficienza tipica del management privato e di impresa.

L’intelligente forma di collaborazione tra apparato statale e realtà privata, se gestita con adeguate tecniche di management di formazione con sperimentate metodologie di controllo retroattivo, offre grandi opportunità per il rilancio del sistema penitenziario in termini di maggiore efficienza e ad effettiva misura umana. Sistema che va inteso, anche nell’interesse della società, come momento ristrutturante la personalità del detenuto in funzione dei diritti della persona che sconta la privazione della libertà a seguito di una condanna penale. In questo settore in Europa e nel mondo si è già molto avanti. L’Italia, anche se a piccoli passi, si sta avviando ancora troppo lentamente su logiche in cui la buona collaborazione tra sistema pubblico e sistema privato possa dare in taluni casi risultati molto favorevoli. In Francia, tale collaborazione è sostanzialmente basata su varie forme e modalità di applicazione, dalla costruzione degli edifici penitenziari in project financing, fino alla gestione di alcuni servizi complementari all’interno del penitenziario (scuola, formazione professionale, autogestione per la manutenzione tecnica di parti dell’edificio, lavoro interno ed esterno, inserimento all’interno della filiera produttiva e commerciale).

L’ascoltare i preoccupati interventi dei responsabili del ministero della Giustizia, a cominciare da quello del consigliere Sabella che, lamentando oltre alla scarsezza delle risorse economiche a disposizione per il DAP, sollecitava l’accelerazione di misure più flessibili destinate ad una più attenta revisione del sistema penale, non più rigidamente vincolato all’applicazione delle pene detentive tradizionali, oltre che il necessario riconoscimento delle professionalità tecniche interne all’amministrazione; o il sentire le preoccupazioni del provveditore Enrico Sbriglia che, in una visione più concreta e diretta della drammatica realtà carceraria, lamentava con esempi tangibili la farraginosità degli aspetti gestionali, amministrativi e umani a carico di chi dirige la complessa realtà dell’universo penitenziario, questi, insieme a tanti altri problemi sollevati nel dibattito hanno dato un quadro della situazione italiana in cui non è più rinviabile un disegno strategico ed interdisciplinare in cui la collaborazione attiva tra sistema pubblico e sistema privato possa diventare a breve una delle chiavi risolutive del tanto promesso piano carceri.

I soli provvedimenti tampone del giorno per giorno, del continuo rinvio e del bla bla quotidiano, in una situazione carceraria quale è quella italiana, in cui sussistono problemi amministrativi, di gestione del personale, del sovraffollamento, della carenza di risorse, dell’assurda applicazione di pene sproporzionate per taluni reati di modesta entità, unitamente al problema del sovraffollamento e della mera gestione tecnica di ordinaria manutenzione (dal cambio della lampadina alla riparazione dell’impianto idrico o fognario intasato), molti di questi problemi, rendono il lavoro direzionale del carcere una terribile matassa di complicazioni che inceppano il normale funzionamento dell’amministrazione penitenziaria, vanificando tutte le migliori buone intenzioni destinate al recupero del detenuto nel rispetto sacrosanto dei diritti umani di chi sconta la pena in carcere. Si spera che questa lunga giornata di lavori piemontese abbia avuto la capacità di scuotere talune resistenze e che possa rappresentare finalmente l’avvio di una riflessione più sistemica e articolata in cui la logica di una collaborazione efficiente tra amministrazione pubblica e realtà d’impresa privata possano rappresentare per il futuro una chiave risolutiva del tanto atteso e promesso piano carceri. Piano, va sottolineato, che deve essere correttamente inteso come miglioramento e riqualificazione dell’esistente, anche con nuove realizzazioni e con la doverosa attenzione ai temi dell’architettura dei luoghi, ma non nella licenza incondizionata alla moltiplicazione delle carceri, rappresentando la pena detentiva l’estrema e non ordinaria ratio dell’agire della Giustizia.

(*) Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:42