Fini, parabola <br / > di un furbetto

Dicono che le giornate a Montecarlo non passino mai e che le gioie familiari alla lunga si trasformino in una prigione per attempati ambiziosi. Sarà per questo che Gianfranco Fini - per gli amici del Fronte della Gioventù “er caghetta” per via di una scarsa propensione agli atti eroici - vinto dalla noia, deve aver pensato ad un anacronistico ritorno in politica. “Serve una delle mie idee geniali, l’Italia ha bisogno di me, la politica senza le mie cravatte è vuota, quasi nuda”, deve aver rimuginato il nostro statista.

Sì, ma sarà opportuno? Come che fare per tornare alla ribalta? E allora, dopo una lunga indecisione durata ben due minuti, il prode Gianfranco ti ingaggia “nientepopodimenoche” il guru delle campagne elettorali del sindaco di Bari (di sinistra, come ti sbagli con Fini…) e ti improvvisa un video tutto incentrato sulla metafora calcistica: seduto in panchina, si alza con il pallone in mano, lo pone sul dischetto ed incoraggia un giovanissimo calciatore a tirare un rigore. Contestuale pistolotto sulle partite che si possono perdere ma a testa alta e successivo invito a partecipare alla convention del suo rilancio (presunto).

Partecipa! Si chiama così la sua convention, nome nato forse da un presagio funesto di totale diserzione da parte dei cittadini che ultimamente non è che accorrano numerosi ad ascoltare il verbo finiano. Nelle intenzioni dell’allenatore Gianfry e dei suoi consulenti c’era il proposito furbetto di creare un video che andasse a rimorchio dell’entusiasmo mundial. La sfiga invece lo ha perseguitato, perché ha pensato al tropo pallonaro proprio a ridosso della figura indegna della ciurma prandelliana in Brasile, con annessi strascichi polemici e delusione cocente. Goal annullato, caro Gianfranco.

La rappresentazione del calcio di rigore (con annesso predicozzo) invece ricorda molto “La leva calcistica della classe ‘68” di Francesco De Gregori, in cui Nino non doveva aver paura di tirare il calcio di rigore, ennesimo indizio del fatto che i riferimenti culturali del nostro neofondatore di una nuova destra risiedano ormai a sinistra. Gioco pericoloso. Cartellino rosso, molto rosso.

Sembra paradossale ma, come se nulla fosse accaduto, come se nessuno ricordasse le sue gesta, Fini ci comunica candidamente che è giunto il momento di un suo ritorno a grande richiesta sulla scena politica e, facendo pure il falso modesto, lascia intendere che il suo ruolo sarà quello di umile talent scout e di defilato facilitatore per la nascita di una nuova destra. Per quanto egli cerchi di dissimulare, la sua storia invece è lì, tutti la ricordano e quindi stentano a credere ad un Fini che guida la nascita di una nuova destra dopo aver contribuito in maniera determinante ad ucciderla. Nessuno reputa credibile che all’ex “co-fondatore” sia improvvisamente venuta voglia di fare l’allenatore visto che, nei partiti che ha guidato, nessuno ha mai potuto fare ombra al capo o insidiarne il potere, pena l’emarginazione nella totale indifferenza di una sedicente classe dirigente prona, apatica ed inconsistente.

Il novello commissario tecnico della destra, quello che “da calciatore” ha distrutto tutti i partiti di cui è stato “capitano”, ha già provato l’esperienza da allenatore di Futuro e Libertà contraddistinguendosi per gli scarsissimi risultati elettorali, oltre che per una serie di pratiche scorrette ordite ai danni di quella che doveva essere la sua parte politica di cui invece è stato strenuo sabotatore. Ma allora, perché il trombato per eccellenza si ostina a sfidare la cattiva sorte?

La verità è che Fini non si sente animato da amor di Patria, ma da sentimento di livorosa rivalsa verso un popolo (il suo) che lo guarda con un misto tra indifferenza e delusione, memore del suo tradimento (degli ideali prim’ancora che delle persone) verso una parte politica (quella dalla quale proviene) che non lo ha seguito perché non ne ha capito le ragioni (e non sono del tutto limpide) e verso un mondo (quello Quirinalizio e della sinistra chic) che lo ha lusingato - per metterlo contro Berlusconi - promettendogli tutela onde poi scaricarlo quando non serviva più.

È stato un ingenuo, un presuntuoso, un incoerente; insomma, uno del cui passaggio nella vita politica italiana non si è accorto nessuno visto che nulla ha lasciato se non distruzione e divisioni. Gianfry lo sa ed è disperato e per questo poco lucido: ci ripropone, sotto le false sembianze di un evento dal nome “Partecipa”, lo stesso schema di Futuro e Libertà, lo stesso livore distruttivo ed antiberlusconiano e la stessa piattaforma programmatica del suo confuso partito di destra-sinistra-centro.

Fini crede (giustamente) che la destra debba cambiare il proprio registro verbale ed aggiornare la propria scala dei valori verso un modello nuovo che prenda atto di un mondo che è profondamente mutato, però non fornisce una ricetta di destra bensì si limita ad appiattirsi sulle posizioni di sinistra perché forse per lui “fa figo”. Lo ha fatto in tema di immigrazione, sullo ius soli, in tema di diritti civili, in tema di giustizia, sulla Resistenza, sul suo passato e su mille altre cose che ha semplicemente rinnegato e non modernizzato, adeguandole ad un mondo che non poteva più vivere su convinzioni novecentesche o su schemi superati dalla storia.

Per il resto, i princìpi elencati sulla pagina web dedicata all’evento sono una raccolta di banalità (incremento demografico, meritocrazia, senso dello Stato, meno leggi, riordino del fisco, partecipazione, fiducia nel futuro…“chiuppilupittutti”) condita con i soliti strafalcioni che hanno determinato la sua disfatta e che fanno venire l’orticaria a chiunque si definisca di destra. Uno su tutti: il concetto di patriottismo repubblicano e costituzionale da contrapporre al nazionalismo. Fini non si accorge di metterlo in campo proprio nel momento sbagliato e cioè in un frangente in cui la destra europea che ha successo è nazionalista e contrappone un concetto forte di Nazione ad un’Istituzione Europea vista dalla gente come corpo estraneo, che toglie sovranità e diritti alla gente comune in cambio di povertà e favori alla finanza internazionale.

Ma poi questa storia assurda del patriottismo che per essere tale deve poggiarsi sulla Repubblica e sulla Costituzione (come se esso non pre-esistesse a queste ultime) è uno schiaffo in faccia ad un mondo, quello di destra, che ha fatto del patriottismo un ideale che affonda romanticamente le proprie radici nel sacrificio degli eroi del 1915-18 o negli Eroi del Carso ma non certo nel Partigiano Valerio.

Diciamocelo: Fini ha cambiato idea su tutto e non si rassegna al fatto che il suo ex mondo, quello che spesso egli ha vissuto come un inutile fardello, non lo accetti bevendosi il neo progressismo di cui si è infatuato. La destra storicamente (e per poter sopravvivere) ha dovuto essere tante cose ed imbarcare tanti mondi diversi che spesso faticavano a stare insieme. Almirante prima e Tatarella poi ci avevano visto giusto cercando una sintesi e portandola su posizioni moderne, fuori dal Fascismo e lontana da preconcetti spesso incolti, anacronistici, qualche volta ottusi, confessionali se non addirittura violenti. Ma Fini non è né Almirante né Tatarella. Anzi.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:36