La partita sindacale,   l’ombra di G. Sorel

Non è necessario un grande acume politologico per accorgersi che il Governo Renzi sta incontrando, e incontrerà nel prossimo futuro, le stesse difficoltà che hanno incontrato i governi precedenti e, in particolare, i vari governi presieduti da Silvio Berlusconi. Sul piano di varie riforme in gestazione, quella del lavoro in testa, Matteo Renzi cerca di attuare idee che erano nei piani che Berlusconi dovette abbandonare in nome della "pace sociale".

Già questo, d’altra parte, la dice lunga sul carattere paradossale della nostra democrazia. La sinistra si emancipa costantemente e faticosamente, lungo la storia italiana, dai presupposti più duri della propria ideologia finendo ora per capire che, soprattutto in tema di politica economica, non si può andare oltre limiti molto chiari a chiunque sappia far di conto. Dalla Livorno del 1921 ai vari patetici passaggi da Pci a Pds, poi Ds e infine Pd, la sinistra italiana ha accumulato una singolare serie di ritardi che ora, ancora una volta, stanno condizionando la vita politica e il cui prezzo sarà come sempre pagato da tutti.

Che la questione dell’articolo 18 sia un fatto simbolico l’hanno capito tutti, ma è proprio per questo che Renzi sta impuntandosi perché, se riesce a vincere la battaglia, avrà vinto anche l’ennesima, tediosa e insieme pericolosa resistenza interna al suo partito da parte di chi vuole ostinatamente rimanere indietro e vivere, si fa per dire, sugli allori.

Ma non c’è solo la contesa interna al Pd: l’avversario più coriaceo è il "potere forte" della sinistra, la Cgil, "cinghia di trasmissione" di una macchina che, senza la benzina del conflitto, sarebbe destinata alla rottamazione. Quella vera. Intere generazioni di sindacalisti sono cresciute nell’adorazione del conflitto sociale e della sua liturgia principale: lo sciopero generale. Se uno sciopero ha successo e chi lo fa ottiene ciò che voleva, come insegna Georges Sorel, il sindacalismo ne esce più forte e può proporsi nuovi obiettivi.

Nella nostra attualità tutto ciò fa però venire i brividi. Infatti, se la partita in corso fosse vinta dai sindacati e dai loro alleati e anche il Governo attuale fosse costretto ad abbandonare la politica economica e del lavoro che cerca di attuare, il sistema delle nostre imprese, già debole, poco innovativo e scarsamente disposto a dosi crescenti di incertezza e di rischio, sarà ulteriormente penalizzato. Continuerà così la perdita progressiva di ricchezza non solo di chi ha grossi conti in banca – l’eterno nemico della sinistra nostrana – ma quella complessiva del Paese. Senza alcuna possibilità di "reintegro".

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:20