“Contributo unificato” sempre troppo caro

Euripide diceva: “La giustizia non è negli occhi dei mortali”, ed oggi, non è neppure nelle loro tasche. Lo Stato, da un lato aumenta periodicamente l'importo del contributo unificato, mentre dall'altro incentiva (o obbliga) l’accesso (oneroso) a forme di giustizia alternativa a quella ordinaria. Si assiste al continuo smantellamento di alcuni diritti che si ritenevano ormai consolidati.

Infatti, da qualche anno in Italia si discute e si legifera in materia di mediazione, di conciliazione, di camere arbitrali, di negoziazione assistita, riconoscendo a questi istituti un valore da altri auspicato ma che, in realtà, contrastano con il sistema giuridico italiano. Tanto che il cittadino non ha tratto alcun giovamento da queste novità; forse i magistrati che hanno di riflesso goduto di una diminuzione momentanea del nuovo contenzioso, potendosi così dedicare all’arretrato. Però certo è che con l'attuale esorbitante costo dell'accesso alla giustizia molte persone scelgono addirittura di non tutelare (né per via ordinaria, né con i rimedi alternativi introdotti) i propri diritti ed interessi, perpetrandosi così una indiretta violazione del diritto alla difesa. Rammentare gli importi del contributo unificato, oggi, chiesti per avviare un giudizio, è utile per farsi un’idea.

Se si considera che i giudizi innanzi al Tribunale Ordinario hanno in media un valore compreso nello scaglione da € 26.000,00 sino ad € 52.000,00, o indeterminabile, l'importo più frequente di contributo unificato da versare allo Stato, è di € 580,00, oltre € 27,00 di marca da bollo. Dunque, di norma per iniziare un giudizio servono non meno di € 700,00 di spese vive (in Cassazione oltre € 1.000,00). Senza dire che per impugnare un verbale (multa, ecc.) di pochi euro si versano € 43,00 di contributo unificato. Se poi il cittadino deve ricorrere innanzi al TAR, gli importi lievitato ancor di più, e se disgraziatamente si tratta di una impresa e la controversia ha come materia una gara d’appalto, si versano anche € 6.000,00. La gravosità è tale da rendere difficile, in tempi di crisi, alle piccole e medie imprese di rivolgersi al Giudice Amministrativo. Inoltre, in ambito europeo, la legislazione italiana è del tutto particolare tenuto conto delle ragionevolezza degli importi di contributo unificato chiesti negli altri paesi.

Ora, basta fare due conti, per capire che la violazione del diritto alla difesa è in atto. Lo stipendio medio è di circa €1.500, agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, è diventato un privilegio per pochi. Molti, lamentando un’eccessiva litigiosità degli italiani, giustificano l’aumento del contributo unificato e la necessità di strumenti alternativi di composizione delle liti rispetto al giudice naturale. Il ragionamento è sbagliato, o per meglio dire utile a chi trae giovamento dall’introduzione di queste novità. Nessuno ricorre al giudice senza un motivo più o meno valido. E deve essere libero di farlo, salvo poi subire, in caso di infondatezza delle proprie ragioni, la “soccombenza”. E’ incostituzionale farne un questione di disponibilità economica del cittadino.

Anche perché è evidente che il parlamento italiano storicamente legifera troppo ed in maniera spesso disarticolata, concorrendo così alla frequente necessità di ricorrere al Giudice per l’interpretazione e applicazione delle norme. Dunque, da un lato lo Stato legifera a più non posso, creando molto spesso contrasti tra norme, dall’altro si lamenta dell’eccessiva litigiosità del cittadino e per rimediare mutua l’A.D.R. da altri sistemi giuridici, ed aumenta, in maniera esponenziale, il costo (contributo unificato) di accesso alla giustizia. Non si deve poi dimenticare che quegli importi esorbitanti dovrebbero essere utilizzati dallo Stato per in funzionamento della (ad oggi inefficiente) macchina giudiziaria. A ciò si aggiunga che l’esperienza sin qui maturata circa la utilità di questi strumenti di risoluzione alternativa (a pagamento) delle controversie, non è certamente positiva.

In questo contesto di “ostacolato” accesso alla giustizia e di riforme fallimentari, l’avvocatura, anello di congiunzione del rapporto cittadino-giustizia, ne esce con le ossa rotte. Quella funzione di filtro e di bonario componimento delle liti che è già di per se insita nella attività dell’avvocato, è stata duplicata e demandata a terzi ed, al contempo, si sono allontanati i clienti dagli studi professionali, terrorizzandoli con spropositati importi di contributo unificato. In conclusione, se lo Stato non garantisce giustizia ai propri cittadini svilendo il giudice naturale, se gli importi dei contributi unificati sono saliti alle stelle impedendo di fatto al cittadino di rivolgersi ai Tribunali, come Stato di diritto abbiamo forse fallito.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:22