Riforme della sinistra

Luigi Einaudi nel suo libro “Prediche Inutili” pubblicato nel 1955 osservava che i partiti di sinistra ­- socialisti e comunisti - parlavano con insistenza di “riforme di struttura” e con non dir nulla, non potendo o non volendo scendere in particolari preferiscono tenersi sulle generali e, con non dir nulla, procacciare il plauso a sé ed alla propria parte. Le riforme di struttura sono tuttavia popolari tra coloro i quali vogliono “andare a sinistra”. Questi immaginano di volere rinnovamenti profondi degli ordini sociali, tali da porre fine ad uno Stato che per essere tacciato di “immobilismo” è senz’altro reputato dannabile senza che si spieghi perché lo stare fermi debba considerarsi migliore dell’agitarsi senza una mèta precisa di quell’agitarsi a vuoto, che è spesso, se pur c’è, la sola ragion d’essere del muoversi.

Fortunatamente la sinistra, soprattutto quella comunista, è stata per mezzo secolo all’opposizione. In caso contrario, forse si sarebbero verificate conseguenze nefaste. Nella cosiddetta famigerata Prima Repubblica i governanti si limitarono, sia pur con molte difficoltà, ad applicare il dettato costituzionale anche nel rapporto fra Stato, Regioni ed enti locali. Infatti il Titolo V della Costituzione, all’articolo 130, abolito con l’avvento di questa sinistra, stabiliva che “un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche informa decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione”.

Altre disposizioni prevedevano i limiti dell’autonomia delle Regioni, lasciando tuttavia allo Stato centrale la competenza esclusiva su molte materie. Con l’avvento della sinistra al governo è stato profondamente modificato il Titolo V della Costituzione, sia per quanto riguarda il controllo sull’attività dei Comuni, delle Province e delle Regioni, sia nei rapporti tra Stato e Regioni. A distanza di quindici anni dall’abrogazione del Titolo V della Costituzione, quelli della sinistra oggi al governo si rendono conto dei gravi danni che tale modifica ha portato sia nei rapporti fra Stato e Regioni, sia sotto il versante dei controlli dell’attività degli enti locali. Questi controlli, sostanzialmente, sono spariti. Ad un certo momento il controllo dell’attività dei Comuni e delle Province era demandato ad un collegio di esperti reperito da albi professionali nominato dai rispettivi Consigli comunali e provinciali. Questa disposizione è stata leggermente modificata. Oggi i componenti del Collegio dei sindaci revisori negli enti locali avviene (ascoltate bene) “per sorteggio”. Tutto ciò significa che il controllo sull’attività di un Comune delle dimensioni di Roma, Napoli o Milano, può essere svolto da un giovane commercialista sindaco revisore con scarsa o nessuna esperienza che non ha inserito nemmeno nel suo piano di studi la contabilità pubblica.

Un altro aspetto relativo a quelle che Einaudi definiva riforme di struttura, riguarda le Regioni le quali, dal momento della modifica del Titolo V della Costituzione, sono divenute dei piccoli Stati all’interno dello Stato-Italia. Oggi abbiamo notizia che le Regioni hanno proprie ambasciate, non solo a Bruxelles nell’ambito della Comunità europea, ma anche in Stati fuori della Comunità europea.

In questi giorni è stata approvata la riforma elettorale con la quale il giorno successivo alle elezioni i cittadini avrebbero saputo chi avrebbe governato, come se attendendo qualche giorno si sarebbero provocati dei disastri. I costituzionalisti su questa riforma istituzionale si dimostrano perplessi. Da questo momento ricomincia l’esame della Costituzione con la modifica della parte che riguarda il Senato e la modifica del Titolo V, abrogato proprio da quella sinistra che si è resa conto dei danni che questa modifica ha provocato. Un altro aspetto riguarda il passaggio da una elezione dei senatori da parte dei cittadini ad una loro nomina da parte dei partiti. In particolare, che cosa succede? Con questa legge elettorale i segretari dei partiti nominano i propri rappresentanti delle comunità locali, i quali a loro volta faranno parte, in quanto nominati, del Senato. A proposito della nomina dei senatori il Cavalier Benito fu molto sbrigativo, forse più di Matteo Renzi. Durante il ventennio venivano nominati dall’alto non solo i rappresentanti delle comunità locali, ma anche gli stessi senatori.

Senza voler andare oltre nella polemica, a proposito di quanto disse Einaudi sulle riforme di struttura volute dalla sinistra, mi limito ad osservare, come fece quel rospo il quale, vedendo il contadino appuntire la canna, disse: speriamo bene, tuttavia la vedo infilata male.

 

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:37