La tragedia greca

La tragedia greca divide l’Europa o quello che ne resta: da una parte i paladini del rigore di bilancio e dall’altra coloro che guardano con simpatia Tsipras e Varoufakis: i Totò e Peppino ellenici che vanno a Bruxelles col colbacco un po’ come nella famosissima scena del “noio volevam savuar”. I bar, le pizzerie ed i salotti televisivi sono pieni di commentatori tanto porchettari quanto appassionati; tra un caffè ed un cordiale sono diventati tutti esperti di default ed economisti che dissertano di teorie monetarie con una sicurezza inaudita. Anche i professoroni, che ultimamente sono diventati dei papaveri onnipresenti (leggi Piketty, Stiglitz e Krugman), danno dei pareri a buon mercato su qualcosa che, per usare un’espressione tanto cara a Mario Draghi, è un terreno inesplorato. La verità è che non possiamo prevedere nulla: non sappiamo come finirà il referendum greco, non sappiamo quali potrebbero essere gli effetti della “Grexit”, non sappiamo quali potrebbero essere le possibili vie d’uscita alla crisi.

Chi si avventura su questi temi vende aria fritta. L’unica considerazione da farsi è squisitamente politica: ci troviamo al cospetto di una guerra di nervi tra inaffidabili, tra istituzioni internazionali dedite allo strozzinaggio ed uno Stato Greco che “si è venduto la Fontana di Trevi” rifilando un “pacco napoletano” ai creditori. Da una parte c’è la cieca politica del rigore che non si coniuga con la crescita, ci sono condizioni capestro di rientro del debito ed imposizioni impossibili da rispettare. Dall’altra c’è una Nazione che ha truccato i bilanci, ha vissuto a livello assistenziale e previdenziale al di sopra delle proprie possibilità ed ha imbarcato dipendenti pubblici come se la macchina burocratica fosse un ammortizzatore sociale.

Da una parte c’è chi chiede di rientrare del debito vendendo il Porto del Pireo o il Partenone, mentre dall’altra c’è chi ha mangiato copiosamente al tavolo del Fondo monetario internazionale e poi si rifiuta di pagare il conto perché è troppo facile conservare i vizi e fare la bella vita (specie con i soldi degli altri). Vien da pensare che entrambi siano in malafede: viene da pensare che l’Fmi e gli Stati che hanno sostenuto il debito greco lo abbiano fatto non in nome della fratellanza europea, ma per tutelare le proprie banche esposte con Atene e che adesso cerchino di fare un “all in” rientrando con tempi e modalità irragionevoli.

Dall’altra parte i greci, sulla cui abilità nell’adoperare la teoria dei giochi sono finite tutte le battute, pare stiano facendo la manfrina solo per avere lo sconticino. Nella ormai famosa lettera di Tsipras si dice solo una parte della verità e cioè che è in atto un’aggressione al popolo greco, alla sua dignità ed alle fasce più deboli, attacco a cui si vuole rispondere con tutta la fierezza ed il rispetto verso la storia millenaria di un popolo glorioso. Tsipras non dice però che la storia prestigiosa è stata da un pezzo mandata a ramengo sotto i colpi di un debito pubblico immorale e di una corruzione dilagante.

Questi sono i fatti. Poi potrebbe succedere che il famoso referendum greco sia falsato da quelle stesse istituzioni internazionali che falsarono il verdetto delle urne in Italia nel 2011 disarcionando il Governo Berlusconi solo perché non voleva farsi mettere la cravatta al collo dal Fmi e che minacciò di far saltare il tavolo europeo. O forse potrebbe capitare che vinca la linea antieuropeista e ciononostante si continui a trattare come a dire che l’esercizio di democrazia è stato tanto bello quanto inutile e che l’accordo è onorevole e reciprocamente fruttuoso. Un “abbiamo scherzato”, insomma. Potrebbe infine capitare che la linea filoeuropeista vinca per davvero spingendo il premier greco alle dimissioni ed alla nomina di un governo provvisorio (già si fa il nome dell’attempato e comunistissimo vicepremier greco molto gradito ad Angela Merkel).

Comunque vada non si arriverà alla rottura perché, come dice un antico adagio, è meglio un triste accordo che una causa persa e far saltare il tavolo non conviene a nessuno, nonostante in molti facciano la voce grossa minacciando sfracelli e referendum vari. La signora Merkel sa benissimo che qualcosa è meglio di niente e Tsipras sa benissimo che un maxi-sconto è meglio del default... e nessuno di loro è un cuor di leone. Anche perché, in caso contrario, e cioè se Atene accettasse gli aiuti dall’Est, finiremmo con Russia e Cina in casa.

Aggiornato il 08 giugno 2017 alle ore 11:30