Giustizia italiana a furor di popolo

Si legge domenica scorsa sul Corriere della Sera che “i giudici non possono evitare di considerare le conseguenze delle decisioni”: è la sintesi del quotidiano milanese di un intervento apparso sul numero domenicale firmato dal vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini (nella foto). È vero, lo scritto del dottor Legnini si riferiva soprattutto alle recenti sentenze relative ad Ilva e Fincantieri, ma la sostanza è comunque preoccupante. Si riporta testualmente: “Se sulla magistratura si riversano maggiori aspettative e domande, occorre che essa orienti sempre più le sue decisioni a ponderazione, specializzazione e piena consapevolezza della forte incidenza della giurisprudenza sul caso concreto e sul sistema in generale. Così, cogliere e prevedere le conseguenze delle decisioni giudiziarie, il loro impatto sull’economia e sulla società - ha scritto ancora Legnini - non può più essere considerato un tabù”.

È innegabile che sulla magistratura si riversino certe domande ed aspettative perché la politica non riesce a dare risposte: una politica incapace di fare politica e più portata agli affari. È però altrettanto vero che chi veste la toga dovrebbe pensare (e limitarsi...) ad accertare l’esistenza del reato ed eventualmente punirlo. Le eventuali conseguenze ed i possibili impatti delle decisioni assunte non dovrebbero (il condizionale è però, ogni giorno che passa, sempre più d’obbligo) far parte dei motivi per i quali le sentenze vengono emesse.

Scrive ancora il vicepresidente del Csm, che è “necessario formare un nuovo profilo di giudice autonomo e indipendente, dotato di una sensibilità capace di porlo in sintonia con le aspettative del Paese e dei cittadini”. I quali, aggiungiamo noi semplicisticamente, se si attendono una sentenza di condanna, il giudice non potrà che infliggere una pena all’imputato altrimenti “le aspettative dei cittadini” vengono deluse e la gente “si incazza”. Ecco, la giustizia a furor di popolo ci mancava: una libera interpretazione della sentenza emessa “in nome del popolo italiano”.

 

Aggiornato il 08 giugno 2017 alle ore 11:51