Grecia, referendum? No, una pagliacciata

Una pagliacciata. Senza “se” e senza “ma”. Il referendum greco è questo, al netto del risultato. Anche se invece del voto di intestino, il risultato fosse stato opposto: sempre pagliacciata sarebbe stata. Il fatto che quella valanga di “no” produrrà, come è probabile, ulteriore e grave danno alla Grecia, alla sua popolazione e al resto dei Paesi associati nell’Unione europea, non modifica di un’oncia il fatto che questo referendum (e chiamarlo tale già offende l’istituto) sia stato una pagliacciata.

È vero, come si dice: il governo greco in carica eredita sicuramente una situazione difficile da gestire, e da controllare. Una situazione resa ancora più grave dal fatto che l’attuale governo non ha alcuna cultura di governo: si muove all’insegna del populismo e della demagogia. La situazione, depurata dall’oceano di chiacchiere di questi giorni, è questa: il presidente greco Alexis Tsipras e il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis si sono comportati come ragazzini, pensando di potersi fare beffe impunemente delle cancellerie occidentali; hanno giocato la carta della demagogia e dell’arroganza; a brigante brigante e mezzo, si è risposto. Poi, certo, l’Ue ha fatto benissimo tutte le cose sbagliate, e malissimo le poche cose giuste. E così, nonostante gli sforzi di un Mario Draghi che un giorno bisognerà pur ringraziare per tutto quello che ha cercato di fare, eccoci a fare i conti con una miscela esplodente, grazie alla quale nell’opinione pubblica europea è cresciuta l’area della protesta e dell’oltranzismo euroscettico, espressione di un populismo che ha sempre più presa.

In Italia, come dimostrano le crescenti proteste anti-Troika agitate da Lega, M5S e Sel; e non solo in Italia: un po’ ovunque, in Polonia e in Ungheria, in Spagna e in Francia, in Danimarca e in Austria si manifestano analoghi sintomi, si colgono simili “disagi”. È paradossale, ma l’unico voto “europeo” di questi ultimi mesi è stato quello in Turchia a favore della lista curda; che non è solo una lista curda, e ha un programma da fare invidia a tutti i partiti progressisti dell’Unione.

Detto questo, perché il referendum greco è stato una pagliacciata? Perché come si fa a definire “referendum” un qualcosa dove si viene invitati a votare “Oxi” o “Nai” a un quesito siffatto: Deve essere accettato il progetto di accordo presentato da Commissione europea, Bce e Fmi all’Eurogruppo del 25 giugno 2015, composto da due parti che costituiscono la loro proposta? (Il primo documento è intitolato “Riforme per il completamento dell’attuale programma ed oltre”, ed il secondo “Analisi preliminare per la sostenibilità del debito”)?

Ecco, i cittadini, nel giro di una settimana sono chiamati a votare su questo “quesito” che sfido chiunque a dire cosa significhi. Come si fa a parlare di referendum se non ci sono (come non ci sono stati) reali dibattiti e confronti tra i sostenitori del sì e del no; come si fa a chiamare referendum se il cittadino greco si è visto privato del suo diritto a conoscere, e votare secondo scienza e coscienza? Come si fa a chiamare referendum quando non si garantisce effettiva conoscenza per questioni così complesse, così ricche di implicazioni per il presente e per il futuro? E passi per il popolo greco, che qualche giustificazione per il voto ad alto tasso intestinale che ha dato, ce l’ha. Ma che dire dei supporters stranieri, quella folla di italiani, molto “compagni” e molto “puri”, che sono andati a bagnare nelle acque dell’Egeo la loro futile demagogia e il loro inconcludente populismo?

“Referendum strumento supremo di democrazia”, pontificano. “Strumento che esprime la volontà popolare”, certificano con granitica certezza. Che bello! Li avessi trovati, tutti loro e nessuno escluso, quando i referendum si trattava di difenderli e sostenerli in Italia: e si trattava di riforme vere, per depurare codici da leggi sbagliate e conquistare nuove frontiere di libertà per tutti. Macché! Allora spiegavano che si era nel torto marcio, che non si poteva delegare al popolo, con un sì o con un no la decisione di materie complesse; che il Parlamento ne veniva ferito e delegittimato; e che appunto in Parlamento si doveva lottare e porre quelle questioni...

Possibile che nessuno dei pensosi analisti e commentatori abbia colto questa accecante realtà, di una consultazione senza informazione, di un voto senza dibattito e confronto, di un referendum senza che sia stata data la possibilità di comprendere cosa comportava il mettere la croce sul sì o sul no? Bella vittoria della democrazia, fantastica affermazione popolare, davvero.

Corifei, ieri, dell’esatto opposto di quel che sono corifei oggi. Ci dicano ora, per favore, quel no dilagato a dove ci porta; quali le prossime mosse per evitare i disastri che si profilano all’orizzonte; quali ulteriori funambolismi dovremo sopportare (già Varoufakis con le sue dimissioni è in pista). Hanno la faccia di tolla di definire espressione democratica questa pagliacciata; si può lecitamente credere che questa micidiale alleanza di cretini, demagoghi e furbi ci farà penare a lungo.

 

Aggiornato il 08 giugno 2017 alle ore 11:47