“Mafia Capitale”, l’astensione non si fermi!

La protesta della Camera Penale di Roma contro le violazioni del diritto di difesa rilevate nell’ambito del processo denominato “Mafia Capitale”, è ad un punto di svolta.

I penalisti romani avevano indetto un’astensione dalle udienze per censurare il provvedimento della X sezione collegiale del Tribunale di Roma con il quale, sulla scorta di non precisate esigenze di sicurezza, si era disposta la partecipazione a distanza al processo per tutti gli imputati detenuti e si era stabilito un serratissimo calendario di udienze che avrebbe reso impossibile una comunicazione reale e proficua tra l’avvocato e i suoi assistiti reclusi in luoghi assai distanti da quello in cui si celebra il processo.

Una decisione, quella del Tribunale, gravemente lesiva dei diritti degli imputati cui era, di fatto, negato l’accesso al contraddittorio ed all’oralità, ineliminabili colonne del giusto processo. In data 21 ottobre, l’Assemblea dei soci della Camera Penale capitolina accoglieva tiepidamente una nuova disposizione della X sezione, datata 16 ottobre, in cui si chiedeva al D.a.p. di valutare la possibilità di disporre il trasferimento a Rebibbia degli imputati detenuti, riconoscendo che la loro concentrazione in tale Istituto avrebbe consentito la celebrazione del processo in sicurezza, pur con la loro presenza in aula. Tra le ragioni del disagio degli avvocati, da un lato, la palesata soggezione dell’Organo giudicante alle esigenze organizzative del D.a.p., inammissibile a fronte della compressione di diritti inalienabili; dall’altro il timore che il processo mediaticamente clamoroso testasse un metodo ammettendo la partecipazione degli imputati in videoconferenza fuori dalle garanzie di legge e al di là di esse.

Sullo sfondo, le proposte di modifica normativa che vorrebbero estendere “in presenza di speciali ragioni di sicurezza” a tutti gli imputati, dunque a prescindere dai reati loro contestati, la partecipazione al processo a distanza senza neppure contemplare in capo al giudicante un onere di motivazione. Rapidità, efficientismo, risparmio non possono sovrastare il diritto ad una difesa effettiva e ad un processo equo! Concludeva i lavori, l’Assemblea, propugnando la prosecuzione della protesta. È del 26 ottobre un nuovo atto dispositivo del Tribunale di Roma che stabilisce la videoconferenza per tre dei diciassette detenuti, uno in virtù del regime cui è sottoposto, la cosiddetta detenzione di rigore in 41 bis, gli altri per la attribuzione formulata nel capo di imputazione, di essere al vertice di una associazione mafiosa. Per un altro degli imputati ristretti che ad oggi si trova a Roma, il Tribunale, in sostanza, demanda la decisione al Dap. Ove l’organo amministrativo ne stabilisse il trasferimento in altra sede, anche per lui scatterebbe la partecipazione al processo a distanza. La Procura, con nota del 21 ottobre aveva, infatti, rappresentato al Tribunale la sussistenza di gravi ragioni di sicurezza per i soggetti cui era contestata la qualità di capi e di organizzatori del consesso sodale per i quali, a mente della Procura, si imponeva la celebrazione del processo a distanza. Tale nota era trasmessa dal Tribunale al D.a.p. con la richiesta di specificare se solo gli altri detenuti sarebbero stati trasferiti tutti presso il carcere di Rebibbia ottenendo risposta affermativa.

Il provvedimento offre certamente un segnale di apertura alle istanze dei penalisti ed esprime tacitamente il riconoscimento dell’esistenza di un diritto, quello dell’imputato a presenziare fisicamente al processo. E, tuttavia, non si arrestano i motivi di allarme. Il collegio dei giudici asseconda, infatti, pedissequamente la richiesta della Procura già nella nota trasmessa al Dap. Si spoglia, in sostanza, dei suoi poteri ed, ex ante, stabilisce che i due imputati con la contestazione di vertice associativo non reclusi in regime di 41 bis, non saranno trasferiti nel carcere romano di Rebibbia.

Infine, motiva la necessità di disporre la videoconferenza in virtù e della diversità e distanza dei luoghi di detenzione - determinata dallo stesso Tribunale nel trasmettere la richiesta al D.a.p. - e del ruolo degli imputati secondo la contestazione dell’Accusa (indicazione del tutto astratta che assume a crisma di pericolosità una categoria di imputati). Non solo. Il Tribunale ritiene che le esigenze di sicurezza siano garantite e il rischio di evasione ridotto per i detenuti a Rebibbia, in ragione del luogo dove si celebrerà il giudizio: l’aula bunker del carcere romano. Insinua, così, la suggestione pericolosa che nel palazzo del Tribunale penale di piazzale Clodio, processi come quello in discorso non sarebbero gestibili in sicurezza con gli imputati presenti tanto che per la prima udienza, del 5 novembre - che si svolgerà nella città giudiziaria - è stata mantenuta per tutti i reclusi la videoconferenza. La legge che ad oggi disciplina la partecipazione al procedimento penale a distanza non può dirsi rispettata né, conseguentemente, possono dirsi soddisfatte e tacitate le ragioni dell’agitazione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35