Il “Supercarcere” Bacchiddu di Bancali

Un’inchiesta de “L’Espresso”, “L’isola dei reclusi”, apre le porte del nuovo supercarcere di Bancali, a otto chilometri di distanza da Sassari, dove in assoluta segretezza, “usando velivoli messi a disposizione dalla Guardia di finanza e dalla polizia di Stato”, sono stati trasferiti 90 “superboss”. L’articolo, a firma di Lirio Abbate, svela e rimarca - volutamente o non - l’abominio di una misura sempre più vistosamente incostituzionale tarlata da stridenti illogicità.

Credevano, i detenuti, che si trattasse di un trasferimento di routine e, invece, si sono trovati in una realtà del tutto nuova, un carcere concepito per isolare chi vi è ristretto, un isolamento che dovrebbe essere dagli affiliati rimasti in libertà e trovare giustificazione nella necessità di impedire il perdurare di contatti di malaffare che tendano a sostenere la vitalità delle associazioni criminali. Così non è. Già le troppe prescrizioni del regime detentivo 41 bis assai raramente hanno correlazione con le esigenze di prevenzione e di sicurezza. Si pensi al divieto di cuocere cibi, ai mille ostacoli apposti alla possibilità di studiare, leggere, informarsi, alla sostanziale assenza di attività ricreative, alla limitazione ad una sola ora al mese di colloqui con i familiari - dietro a un vetro divisore in piccole celle anguste e sporche - di cui solo dieci minuti a contatto con il minore di anni dodici, alla impossibilità di accedere a spazi aperti (anche l’ora d’aria si svolge in piccoli cortili senza cielo), alla contrazione a una sola ora della cosiddetta “socialità”, ossia l’accesso ad attività diverse dalla cella (di solito la fruizione di una biblioteca fornita di pochi volumi), ai limiti quantitativi imposti sul cibo e sul vestiario che possono essere mandati dall’esterno.

Ma il carcere “Bacchiddu” è stato architettonicamente finalizzato a murare vivo chi vi è ristretto: “È una sorta di alveare, le celle sono divise in blocchi, in cui si possono affacciare solo quattro detenuti, quelli che trascorrono insieme l’ora d’aria in un piccolo cortile attiguo. Non solo. Accanto a ogni cella c’è una stanzetta per i video collegamenti con le aule giudiziarie: da lì assisteranno ai processi in cui sono imputati o parleranno con gli avvocati. Il loro mondo finisce lì: tutta la vita avverrà in poche decine di metri”.

Se questa non è tortura: tutta la loro vita avverrà in poche decine di metri.Secondo Lirio Abbate, sono ora a Bancali “i mafiosi più pericolosi d’Italia”, “una supercupola” selezionata tra i circa 750 detenuti in regime derogatorio. Una sorta di patente da superboss, insomma, la reclusione nel supercarcere. Segue un elenco di persone (ché di persone si tratta!) già condotte nel monumentale istituto penitenziario e di quelle che sono tanto pericolose che potrebbero finirci con tanto di indicazione sul luogo dove ad oggi sono ristretti. E pensare che ai familiari dei reclusi è precluso acquistare per i loro cari qualunque abbonamento a giornali o a riviste perché nessuno, proprio nessuno, deve conoscere i luoghi in cui sono ristretti i detenuti in 41 bis! Ma scorrendo l’elenco dei nomi emerge un aspetto assai inquietante. Molte delle persone (ché sempre di persone si parla!) segregate al Bacchiddu sono ormai detenute da molti anni. Hanno vissuto in carcere parte della loro vita e condotto un, pur asfittico, “percorso trattamentale” che dovrebbe in modo graduale evolvere verso il reinserimento del detenuto nel tessuto sociale. E sì, perché il carcere tende alla rieducazione o è incostituzionale. Piaccia o non piaccia. Ebbene, queste persone dopo anni di privazione della libertà, vengono coattivamente regredite attraverso una misura punitiva che comporta ulteriori e più stringenti afflizioni e limitazioni: “Tutta la loro vita avverrà in poche decine di metri”. Sepolti vivi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34