Legge stabilità: dal Gp a Matera Capitale

Se sono i dettagli che fanno la differenza, la Legge di stabilità approvata al Senato non cambia il verso della politica.

Sappiamo che più che ridurre le tasse non le aumenta ora, per via del disinnesco temporaneo delle clausole di salvaguardia; sappiamo che il Canone Rai salta acrobaticamente in bolletta, che la soglia d’uso del contante è aumentata, che si alleggeriscono le tasse sugli immobili e che viene finalmente eliminata l’irragionevole Imu sugli imbullonati. Ma soprattutto abbiamo avuto il tempo di comprendere lo spirito di fondo (e lo sguardo corto) di una manovra a debito. Bisogna però prendersi la briga di leggere un testo illeggibile confezionato all’ultimo momento per capire che, nei dettagli aggiunti durante l’iter parlamentare, c’è la solfa di sempre.

C’è, immancabile, la crittografia del maxiemendamento con cui si è blindato - dovuto blindare - il voto. C’è la disomogeneità di un provvedimento composto da contenuti, i più vari e particolareggiati suggeriti opacamente nel corso dell’esame del Parlamento. C’è una schiera di commi-provvedimento che solo l’abitudine ci porta a ritenere tipici di una manovra finanziaria.

L’occhio cade, seppur nella difficoltà di un unico articolo compatto, sulle puntuali e specifiche autorizzazioni di spesa: per citarne qualcuna, 26 milioni di euro da qui al 2019 per Matera Capitale europea della cultura; 50 milioni per il resuscitato Ice; 12 milioni per Italia Lavoro Spa; 100mila euro per il Consiglio generale degli Italiani all’estero (alzi la mano chi lo conosce); qualche altro milione per la diffusione dell’italianità all’estero; 300 milioni in due anni per la Terra dei fuochi; un milione ogni anno per gli istituti culturali ammessi al contributo ordinario dello Stato, oltre le spese per il settantesimo anniversario della nascita della Repubblica; 3,9 milioni per la Scuola per l’Europa di Parma; 5 milioni per la “razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera”, 150 milioni alle Province per interventi sulla viabilità e l’edilizia scolastica (ma non le avevano soppresse?).

L’occhio, dicevamo, cade su autorizzazioni di spesa che non sappiamo come hanno fatto a spuntarla. Ma la solita solfa non sta solo nei commi che prevedono costi. Sta piuttosto nel fatto che, nella legge che dovrebbe tracciare il generale disegno di politica economica annuale, compaiano norme che con questa non hanno nulla a che fare e che chissà da dove vengono e perché sono finite lì: la modalità di gestione dei fondi dell’Aci per il Gran Premio di Monza, i requisiti di partecipazione al concorso per funzionari al Parco dello Stelvio, la proroga in carica dei giudici possono essere le preoccupazioni prioritarie di una Legge di stabilità?

Abbiamo cambiato nome al provvedimento qualche anno fa, sperando che nel nome vi fosse il presagio di un disegno di stabilità finanziaria e economica compatto, coeso e omogeneo. Questo governo continua a ripetere di voler segnare la discontinuità col passato, nei modi e nell’indirizzo politico. Il maxi-emendamento appena approvato al Senato delude sia la prima che la seconda attesa.

 

(*) Editoriale tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:26