Il pensiero socialista e riformista di Craxi

In questi giorni ricorre il XVII anniversario della morte di Bettino Craxi. Senza voler fare della nostalgia e/o della rievocazione dell’ingiustizia subita da lui, dai socialisti e dal Paese, credo che sia più utile a tutti noi riflettere sull’attualità del suo pensiero e della sua azione di statista. Non voglio neanche affrontare l’ormai stantia verità del golpe postmoderno giuridico-mediatico che si poneva l’obiettivo di indebolire e svendere il Paese, cosa ormai evidente anche ad un cieco. Negli anni di Tangentopoli si parlò della maxitangente Enimont di trentadue miliardi di lire (circa sedici milioni di euro) come la madre di tutte le tangenti, oggi senza nessuno scandalo si parla del buco del Monte dei Paschi di Siena, una voragine (cioè una rapina o distribuzione di tangenti) di otto miliardi di euro (cioè milleseicento miliardi di lire, dunque una manovra finanziaria).

L’azione di Craxi si contraddistingue da subito per una sensibilità alle tematiche di politica estera, appena eletto segretario del Partito Socialista Italiano (Psi) fu suo obiettivo quello di realizzare un forte legame con i partiti socialisti europei e dell’internazionale, perché nella sua visione politica era consapevole, già all’epoca, di vivere in un mondo globalizzato. Realizzò una salda e chiara scelta atlantica non subalterna agli americani, in funzione di difesa dei popoli oppressi dal comunismo, e contemporaneamente indicava agli americani il rispetto dei diritti umani in America Latina. Il forte legame con i partiti socialisti europei e i suoi leader era ed è la condizione per realizzare un’Europa dei popoli ed evitare gli egoismi nazionali, in quest’ottica egli andò oltre il rapporto con i socialisti europei, cercando valori comuni con i leader dei partiti popolari europei. Realizzò un accordo con i partiti socialisti del Mediterraneo evidenziando le problematiche comuni per confrontarsi tra eguali con i Paesi del Nord Europa. Da questa esperienza, già allora chiese l’istituzione di una banca di investimenti per i Paesi del Mediterraneo, affinché si favorisse lo sviluppo dei Paesi africani che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo.

Dunque non solo un’attenzione ad una storia millenaria comune, ma un supporto allo sviluppo economico di questi Paesi abbandonati dall’Occidente. E la loro crisi è diventata la nostra crisi, mediante un effetto domino per l’Italia e l’Europa. La destabilizzazione dell’Africa del Nord ha responsabilità precise nell’egoismo anglofrancese, con il beneplacito dell’America, pensando così di favorire l’esportazione della democrazia. La miopia politica, figlia dell’egoismo, ha favorito l’implosione del terrorismo e di una migrazione gestita dalle organizzazioni terroristiche e delinquenziali. Dalla lungimiranza del pensiero politico internazionale di Craxi c’è molto da imparare e da realizzare. Egli fu anche profeta in patria. Profeta, perché oltre ad una forte ed incisiva azione di governo e di ammodernamento del Paese, pose all’attenzione politica dell’Italia il problema della governabilità e della grande riforma istituzionale. Per questo fu deriso e rappresentato come il duce, da una cultura faziosa, provinciale e corporativa che nel cambiamento ha visto la perdita delle proprie rendite parassitarie, che ancora oggi gravano sul Paese.

Oggi tutti riconoscono la necessità di governi stabili che possono garantire l’espletarsi di una politica economica nel quinquennio previsto dalla Costituzione, ma oggi come allora si cerca di dare la responsabilità dell’instabilità al sistema elettorale proporzionale. Craxi nel referendum sulla preferenza unica invitò la popolazione ad andare al mare, non calcolando l’odio politico e culturale che dilagava ormai nel Paese e con la vittoria del “Sì” i manipolatori del consenso trasformarono la vittoria referendaria sulla preferenza unica come se la volontà popolare si fosse espressa contro il sistema elettorale proporzionale. Ormai è chiaro a tutti, l’ingovernabilità non dipendeva dal sistema proporzionale, ma dall’esistenza del fattore K e cioè una forza politica, quella del Pci, alla quale era inviso di andare al governo per gli accordi di Jalta. Inoltre il sistema maggioritario italiano fa sì che le coalizioni vincenti sono cosi eterogenee che dopo la vittoria non riescono a governare. I partiti che nella Prima Repubblica erano una decina oggi sono ventisette, con una perdita costante in questi anni di rappresentatività politica e dunque di una disaffezione dei cittadini al voto.

Se Matteo Renzi avesse voluto fare una vera riforma costituzionale, invece di fare il riformista demagogo, avrebbe potuto mettere in Costituzione la sfiducia costruttiva, così come avevano individuato i socialisti negli anni Ottanta. Inoltre il proporzionale risponde ad un’altra profonda necessità di ricreare una classe politica che sia classe dirigente, perché con il ritorno del proporzionale c’è un ritorno ai partiti e dunque alle identità collettive valoriali, e forse per qualcuno alle loro ideologie vecchie ed inutili, ma almeno ci sarebbe chiarezza. Altro aspetto attuale del pensiero craxiano è la concertazione tra lo Stato ed i corpi intermedi della società, certamente dopo questi vent’anni di Seconda Repubblica esiste sia per i sindacati che per le associazioni imprenditoriali la necessità di una profonda riforma e rigenerazione della loro rappresentatività reale e sburocratizzazione, ma il metodo di coinvolgimento nelle responsabilità di gestione delle crisi non può avvenire senza di loro come avviene oggi. Per qualcuno, in malafede, la politica della concertazione è la politica del corporativismo, mentre invece è la politica della responsabilità sociale, dove lo scambio è alla luce del sole e non ci sono ritorni reconditi come avviene oggi con le agenzie interinali. Si è difeso un inutile articolo 18 per far proliferare il lavoro precario perché gestito assieme alle agenzie del lavoro.

Questi sono solo alcuni spunti di un’agenda per l’Italia nella quale l’elaborazione del pensiero socialista e riformista di Craxi ne conferma la sua attualità. Andare ad Hammamet è un modo per rendere onore ad un uomo, ad uno statista che molto ha fatto per il Paese e molto voleva fare per l’Italia, e che la falsa rivoluzione giudiziaria ha voluto bollare come ladro perché aveva paura delle sue idee e del cambiamento. La notte della Repubblica potrà vedere luce solo sulla strada della verità che parte da Hammamet.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45