Di(o)Maio

Giggino Di Maio si è montato la testolina pettinatissima ed è in pieno delirio di onnipotenza. La sua tesi è la seguente: il Premier lo faccio io o non lo fa nessuno (spiegategli che è la stessa cosa), il programma lo decido io e gli altri lo sottoscrivono (con tutti i problemi che ci sono, vuole occuparsi di conflitto di interessi e travagliate simili), accetto un’alleanza con il Pd derenzizzato o con il centrodestra deberlusconizzato altrimenti non se ne fa nulla.

Tesi insensate e grossolane che però sono musica per le orecchie dei suoi elettori divenuti pentastar con la bava alla bocca proprio perché la sinistra renziana aveva smesso di odiare nelle piazze preferendo occuparsi di banche e affari (propri). Perché poi la stragrande maggioranza degli elettori grillini altro non sono se non un popolo viola 2.0 corroso dal livore e bisognoso di uno o più capri espiatori da detestare sentendosi migliore per differenza (e non in valore assoluto).

Se questo è l’identikit del prototipo di pentastar, immaginiamo l’eccitazione nel vedere Giggino autoincoronarsi Premier sputacchiando nel contempo senza troppi complimenti quelli che sono per definizione i due più odiati da questo popolo di cirrotici: Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

Al primo rimproverano di aver destrutturato “la sinistra de sinistra” che nelle piazze non proponeva nulla ma che era unita dal risentimento verso i ricchi, verso le destre, verso chi non la pensa come loro, verso la xenofobia, verso l’omofobia, verso il presunto rigurgito fascista e verso qualsiasi cosa che – esistente o meno – serviva a coagulare il branco in una sorta di noi buoni contro loro manigoldi. Il secondo è il simbolo di chi ce l’ha fatta, l’invidiato per definizione, colui che per tantissimi anni si è caricato il centrodestra sulle spalle ed ha purgato la sinistra alle elezioni facendole passare brutti quarti d’ora (chi a destra lo critica non se lo dimentichi). Gli strali di Di Maio verso costoro sono come le giuggiole lanciate al circo dal pagliaccio ai bambini. E quindi Di Maio, dopo aver dato in pasto una bella dose di bile ai suoi elettori cirrotici, vorrebbe fare il gioco dei due forni, una roba che tutti gli attuali leader di partito (anche i più giovani come Salvini e Martina) praticavano anche prima che Giggino portasse i pantaloncini corti e vendesse noccioline al San Paolo.

Vorrebbe cioè spaccare il centrodestra mettendogli paura con una possibile alleanza a sinistra (Pd) e spingendo così Salvini a mollare il Cavaliere divenendo socio di minoranza del Governo pentastellato o in alternativa fare la stessa cosa con Martina costringendolo a ripudiare Matteo Renzi e a provocare una scissione nel Partito Democratico avendo così un brandello di Pd alla sua corte dei miracoli, quanto basta per avere un alleato debole che gli assicuri i numeri. Con buona probabilità il Churchill di Pomigliano resterà deluso perché il giochetto è vecchio come il mondo e nessuno si farà prendere dall’ansia che il contendente possa soffiargli il posto alla destra di nientepopodimenoché Luigi Di Maio.

L’alternativa potrebbe essere, come più volte si è scritto su queste stesse pagine, che costoro non abbiano alcuna intenzione di cimentarsi con le fatiche di governo o perché vogliono essere un grosso partito di opposizione come il Pci degli anni Settanta o perché consci dei propri scarsi mezzi e per questo pongano delle condizioni inaccettabili. Cominciamo ad avere qualche dubbio al riguardo perché, si sa, i buoni a nulla si reputano anche capaci di tutto.

Aggiornato il 05 aprile 2018 alle ore 09:48