Un premier in leasing, insidia per Mattarella

Il pressing finale per la formazione del governo sta facendo emergere degli effetti bizzarri ed anomali. Le due delegazioni dei 5Stelle e Lega sono tornate dal Capo dello Stato con in tasca il nome di un premier preso dal mondo dell'Accademia. Ci si aspettava, come è nella prassi, una rosa di nomi da fornire al Presidente Mattarella affinché egli, nell'ambito delle prerogative che la Costituzione gli assegna, potesse esercitare pienamente il suo ruolo, designando la personalità che più ne possa esprimere autorevolezza e credibilità rispetto ad un poco ortodosso accordo politico, atipicamente trasfuso in un contratto che ha tutte le caratteristiche di un impegno tra privati e non di verosimile progetto politico per il Paese. Anche a garanzia di rispetto degli impegni internazionali e sovranazionali che si richiedono al nostro Paese in quanto membro di organismi con obiettivi comuni e collettivi. Sicuramente il nome proposto costituisce una indubbia garanzia di grande competenza di cui avremmo bisogno per cominciare ad imprimere un indirizzo che liberi, dai tanti lacci e lacciuoli, il sistema dei rapporti tra amministrazione e cittadino, sia riguardo alla sfera della pubblica amministrazione che alla riduzione dei tempi dell'amministrazione della giustizia, senza andare a far pagare un ingiusto prezzo al cittadino, affievolendo il sistema delle garanzie che la Costituzione ci assicura.

Quello che però non ci convince è il disegno pervicace che appare emergere dall'ibrida alleanza gialloverde nel fare strame dei meccanismi previsti dalla nostra Carta e del rispetto dei ruoli che essa ne esige. Assistiamo infatti ad un ribaltamento della scena nell'ambito di questi delicati passaggi che Costituzione e prassi ne hanno consolidato nel cosidetto diritto vivente, che altro non è che l'applicazione dell'Ordinamento secondo ragionevolezza e adattamento alle evoluzioni della società. Tanto ci è sembrato il senso di questo interminabile rito delle consultazioni, in cui si è cercato di prendere tempo, mettendo a dura prova la pazienza del Capo dello Stato che tra richiami al senso dello Stato e qualche piccola allusione al suo ruolo - non da intendersi come meramente notarile, citando il discorso di Einaudi - non avrà certamente gioito per tutto questo spettacolo mediatico che nel frattempo ha impazzato, tra liste anticipate dei ministri, addirittura ancor prima delle consultazioni e della forsennata caccia ad un possibile premier. E tutto questo per costruire un patto di governo sul modello di un contratto (altro che alla “tedesca”) con tanto di firme davanti al notaio, con cui si è voluto dare una veste giuridica ad un accordo in un modo assolutamente inappropriato perché qualsiasi patto in politica non può trovare espressione in dettagliate clausole tipiche per la regolamentazione di sfere private dei soggetti contraenti. Con la conseguenza più palpabile di una compromissione (il prof. Zagrebelsky ha parlato di «umiliazione») a priori del ruolo di mediazione del Parlamento. Per questo esiste la previsione di assenza di vincolo di mandato: per salvaguardarne libertà ed autonomia, oltre che la degenerazione del trasformismo. Parlamento che invece così è ridotto ad una mera camera di compensazione che non avrebbe altro che ratificare quanto stipulato dai due contraenti che, paradossalmente, si porrebbero come interlocutori autentici dell'indirizzo politico, delegittimando oggettivamente lo stesso premier nel caso non si conformasse alle clausole rogitate. Ed esponendosi all'eccezione di inadempimento che potrebbe essere invocata in via giudiziale, con un gran guazzabuglio del principio della tripartizione dei poteri.

Ora davvero ci parrebbe stupefacente, all'epilogo finale di questo assurdo “tira e molla” in cui si è trovato coinvolto il Quirinale, con premier preso in leasing, se dovessimo assistere alla conferma, nei fatti, di quel ruolo notarile che appena qualche giorno fa il Presidente Mattarella aveva avvertito non essere nella sua funzione istituzionale. Per fortuna la convinzione diffusa è che il Quirinale non derogherà dal suo delicato e saggio ruolo, non disgiungendo la natura politica del governo con il primario ruolo che ne avrà il premier. Titolare dell'indirizzo politico, a questo punto, non potrà che essere uno dei due leader dell'alleanza. Anche se, a rigor di logica, Di Maio dovrebbe essere il favorito in quanto leader del partito di maggioranza relativa.

Aggiornato il 23 maggio 2018 alle ore 14:03