Le verità di Stato e la credulità popolare

Quelli di oggi sono tempi assai duri anche per i più adusi a comportamenti di grandi privazioni personali. Ove tra le altre amare cose, ci stanno offrendo di osservare il doloroso campionario planetario delle diverse sensibilità governative nel contrastare la grave minaccia di questo virus infido e inarrestabile. E abbiamo trovato di tutto. Anche atteggiamenti e risposte, in primo momento, sbandierate con grande sprezzo del pericolo reale, salvo poi a ricredersi dalle strane ubriacature di “machismo” e ritornare a più miti consigli, come hanno fatto i paesi più controcorrente (Usa, Regno Unito, Svezia). Solo qualche Paese ancora resiste al lockdown con disinvolta noncuranza (il Brasile). Ripensamenti sicuramente provvidenziali che di certo non ci hanno lasciato un bel messaggio di prudente ed accorta cura, almeno nelle fasi iniziali, delle loro comunità, con il rischio di esporle (per fortuna rimasti solo incipienti propositi) alla decimazione naturale (o di gregge) come più crudamente aveva detto il premier inglese, anch’egli poi colpito dal Covid-19. Molto più composto il nostro Governo che si è adoperato con provvedimenti a raffica per tutelare la popolazione dal contagio incontrollato, anche se molte sembrano essere state, agli occhi delle tante incongruenze e delle inchieste che sono al lavoro, le falle dell’azione governativa nella predisposizione di misure tempestive ed adeguate (stante i tanti rischi corsi dai nostri eroici medici, operatori sanitari e volontari e l’alto prezzo pagato in termini di decessi).

Il Governo, dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio scorso alla prima conclamata sintomatologia di Covid-19 del cosiddetto paziente 1 del 21 febbraio scorso a Codogno, avrebbe avuto tutto il tempo per predisporsi alla migliore offensiva contro la sciagurata tempesta virale che ci stava piombando addosso. Ci auguriamo che queste indagini, non ci disvelino responsabilità macroscopiche del governo e dei governanti territoriali, e delle loro articolazioni, perché in questo momento sarebbe un colpo mortale alla credibilità del nostro sistema paese, qualora avessimo prova di una grave disattenzione ai sistemi di prevenzione territoriali, alla ragionevole adeguatezza dei presidi sanitari e alla vulnerabilità di fasce della popolazione riguardo ad un virus così subdolo, di cui qualche studio predittivo ne aveva anticipato i possibili scenari. Facendo doppiamente torto all’abnegazione e all’eroismo dei tanti medici ed operatori sanitari, che in prima linea, con presidi di fortuna, sono morti in questi due mesi ed ai tanti decessi soprattutto della popolazione anziana.

Al momento tra inadeguatezze strutturali e grande impegno delle tante competenze dei nostri valorosi medici ed infermieri ci comincia a rassicurare il calo generale della curva dei contagi e dei decessi ma la minaccia resta ancora pesante, in alcune regioni, mentre ci auguriamo che all’incertezza si sostituiscano chiare direttive operative da parte del governo, per far ripartire il motore del Paese prima possibile. Ebbene, in questo quadro, appare abbastanza bizzarra l’iniziativa del Governo di varare in questi frangenti una commissione per controllare la veridicità delle notizie intorno al coronavirus. Una sorta di giurì dell’informazione sul coronavirus, pronta a bollare di fallacia le “fake news”. Su cui è legittimo chiedersi con quali criteri la commissione potrà effettuare la selezione di veridicità di tanta informazione, in presenza del generale e fondamentale principio, come è in tutti i paesi democratici, della libera manifestazione del pensiero, articolo 21 della Costituzione, e della libera stampa quale espressione del pluralismo dell’informazione, che consente a tutti di dare notizie, ovviamente assumendosene la responsabilità? Tanto è che in tale contesto normativo prima di poter dire che una notizia è falsa, c’è ne vuole! Di norma, si richiede un processo.

Come nel caso di contestata violazione dell’articolo 656 del Codice penale, ove peraltro alla diffusione delle notizie false e tendenziose deve sussistere l’idoneità a turbarne l’ordine pubblico. Ma, al di là della concreta praticabilità dell’ingegnosa trovata, non appare tanto bizzarra la tesi che queste iniziative disvelino allergie che, magari notizie o inchieste scomode, possano causare ai governanti di turno. Una percezione peraltro non nuova, almeno se pensiamo a tutte le volte in cui nella nostra recente storia politica il livello di manifesta insofferenza verso certa stampa, anche se qui il focus e sulle fakes che hanno a che fare con il Coronavirus, da parte di esponenti di governo, lo si è apertamente registrato, senza mai però arrivare alle commissioni ad hoc, per scovare i tanti “bricconi” dell’informazione (si fa per dire)che ci danno a bere notizie inventate di sana pianta o elaborate in modo capzioso. Insomma è il chiodo fisso nel rapporto tra stampa e potere, che, da che mondo è mondo, non trova facile convivenza, tanto esso ne costituisce il segno del tasso di democraticità di un sistema politico. Pur se, in questo momento di maggiore sofferenza della nostra condizione umana, non pare del tutto ultroneo che finalmente qualcuno si preoccupi che la credulità popolare non diventi incontrollata, come il virus.

Sarebbe come dire di aver trovato provvidenzialmente la giusta guida (come ce ne sono stati nei vari momenti della Storia passata dell’umanità, capaci di avere la meglio su insidie e avversità di ogni genere) che, talvolta, negli ineffabili momenti di abbandono, ci sarà capitato di vagheggiare, tra lo sconforto delle tante notizie ferali che abbiamo e continuiamo a registrare in questi tristi momenti. Ed è come avere l’impressione di cominciare a dare forma ad un cammino di rinascita, come lo fu alla fine dell’anno mille, recuperando in meglio quelle connotazioni di esercizio del potere in senso paternalistico, tipico di quelle epoche, ove il feudatario si prendeva in toto, cura e destino delle braccia e dell’anima delle sue maestranze e del suo contado. E d’altra parte se, come da più parti si sta ripetendo, non sarà più come prima, è bene che qualcuno incominci a farne esperimento, magari inizialmente in un quadro semiserio. E non fa niente che alla fine si rischia l’omologazione o ancor peggio il pensiero unico.

Tanto si è oramai ben fatta strada l’assuefazione ai divieti sui nostri fondamentali diritti, anche se giustificati dall’esigenza di non pregiudicare la primazia della vita e della salute, che se alla fine è uno solo o un ristretta élite a pensare e decidere e gli altri ad obbedire, che differenza fa? Anzi, a voler essere egoisti, tra Smart working e tempi contingentati, abbiamo più tempo per dedicarci a noi stessi, senza alcun pensiero per le scelte che riguardano il nostro paese, perché c’è qualcuno che se ne accolla l’onere per regalarci un nuovo millennio, magari, farcito di decrescita felice e pan pauperismo. E allora, tra il serio ed il faceto, perché non possiamo immaginare che “chi, d’ora in poi, si discosterà dalle veline ufficiali o dai protocolli di comunicazione, come sapientemente elaborati, magari dall’immanente Rocco Casalino, noto portavoce del premier, rischierà la inevitabile censura e se recidivo la gogna perpetua e il rogo delle proprie pubblicazioni nella pubblica piazza? Insomma anche se messa in chiave romanzata, non ci pare difficile coglierne la natura singolare di questa iniziativa, perché, mentre poco credibile se ne appalesa a curarne la credulità dei consociati, potrebbe accenderne l’appetibile tentazione per allineare qualche rivolo di informazione più dissonante.

Per di più dopo averne accentrato in capo al premier ogni fonte informativa sulle azioni di contrasto e le misure escogitate: oramai attendiamo con trepidazione ogni settimana, almeno una sua apparizione in tivù, magari se meglio a reti unificate, così non dobbiamo stare a cercare il canale e, con altrettanto trasporto, ascoltiamo tutti in religioso silenzio i suoi virtuosismi lessicali e i suoi armoniosi cambi di tonalità, pur sempre in una postura impeccabilmente composta ed elegante. Oltre a non farci mancare l’ulteriore appendice quotidiana della conferenza della protezione civile e degli emeriti esperti virologi, per fortuna, uno per volta, onde evitare le diatribe che, via via, emergono sempre più forti tra questi scienziati. Appuntamenti oramai attesi con le trepidazioni, talvolta, delle apparizioni miracolose settimanali di un moderno Oracolo di Delfi, nelle quali il nostro premier, nelle virtuali vesti di una novella Pizia (ci perdoni la necessitata trasfigurazione di genere) impeccabilmente elegante, ci ammannisce i suoi postulati di verità e le sue suggestive argomentazioni, accompagnandoci poi teneramente fino all’uscio di casa, se ci ha colti per strada, con doviziose e amorevoli raccomandazioni. È in fondo il prezzo del giusto slogan. “Stiamo tutti uniti” e “Io sto a casa”. Anche se allo stato attuale dobbiamo amaramente constatare che più che “vincoli” (come ci diceva un vecchio comico) siamo tutti “sparpagliati”, non per colpa dei tanti cittadini, di fatto reclusi, ma per l’andare in ordine sparso di regioni e comuni.

Sicché più che a preoccuparsi delle scalfiture al più comodo “pensiero unico” in tema di coronavirus, che neanche l’indirizzo governativo riesce ad assicurare per il tanto tergiversare e zigzagare, tra tamponi si e tamponi no, mascherine si e mascherine no, zone rosse, contagiosità o meno degli asintomatici e diatribe sulla sufficienza dei presidi, ecc. forse un miglior coordinamento con le istituzioni territoriali non sarebbe male, così da rendere uniformi nel territorio le prescrizioni date. Altrimenti non si capisce chi fa sul serio e chi crea confusione per l’incontrollato accavallarsi di ordinanze e decreti: se è vero dei tanti cittadini disorientati quando si avventurano per le necessità o per lavoro, magari passando da un comune all’altro, non hanno mai la certezza che di là dal confine basti la mascherina o ci vogliono anche i guanti, e se la sua fortunosa mascherina è Ffp2 o chirurgica.

E allora non sarebbe più appropriato che il “principio di verità” anziché alle notizie, il governo lo applichi subito all’intero territorio nazionale, inibendo alle istituzioni locali di mettere di loro, rischiando di darci l’immagine di una Repubblica di Arlecchino? Basterebbe statuire la prevalenza della normativa nazionale sulle potestà territoriali che, nel presupposto della dichiarata emergenza nazionale, nel contesto della pandemia globale, trova sicuramente valenza costituzionale. Anziché infilarsi nel tunnel della caccia alle streghe e mettere a rischio il pluralismo dell’informazione, che è appunto il panorama delle innumerevoli articolazioni della libertà di pensiero e di stampa, che deve restare inalterato per il bene del paese. Lasciando alla gente di selezionare il verosimile dal falso, con i tanti strumenti che oggi gli stessi social, che facilitano la diffusione delle fake, ci consentono di verificare. Oltre ai casi in cui non sia la stessa magistratura a inibire la diffusione per effetto di verifiche giudiziali.

Se invece cominciamo ad inerpicarci su questi sentieri tortuosi ed illiberali, invece di pensare, con una sinergica azione con l’Unione europea, come predisporre ed affrontare, con robusti e poderosi aiuti finanziari, il sostegno di una intera comunità e di un modello imprenditoriale stremato e a pezzi, per una seria e sostenibile ripartenza, ci si attarda appresso a commissioni governative per la caccia alle fake news, non sarà lontano il momento in cui anche i nostri comportamenti non avranno più spazi di libertà neanche all’interno delle nostre case e gli stessi tempi e quantità del pranzo e della cena, oltre che delle uscite e delle passeggiate e delle visite a parenti ed amici, saranno regolamentate per decreto, magari con la tessera a punti. E forse non riusciranno a salvarsi nemmeno le libertà e le intimità del talamo, perché anche quelle potrebbe insidiare, in eccesso più che in difetto, una ricrescita del Paese superiore alle aspettative del sussidio periodico e alle risorse di sopravvivenza, di cui forse non potremo farne a meno, per chissà quanto tempo. A quel punto saranno a rischio anche i nostri pensieri, perché anche su questi potrebbero abbattersi draconiani divieti. Speriamo che gli eventi ci smentiscano al più presto.

Aggiornato il 30 aprile 2020 alle ore 12:31