Attendevamo Silvia ed è comparsa Aisha in divisa jihadista

È stata una specie di errore di persona. Attendevamo Silvia ed è comparsa Aisha in divisa jihadista. Quando la ex Silvia Romano, ora Aisha, appena scesa dall’aereo di stato in provenienza da Mogadiscio, è apparsa sugli schermi televisivi avvolta da capo a piedi in una svolazzante tunica verde, la scena all’aeroporto di Ciampino è improvvisamente diventata grottesca. Quella tunica verde non è infatti un semplice abito tradizionale delle donne somale, come molti hanno pensato, ma è una divisa islamista obbligatoria imposta con la violenza alle donne somale dai terroristi delle milizie jihadiste di Al-Shabaab come simbolo di sottomissione e di oppressione. Quella tunica chiamata con derisione e terrore dalle donne somale laiche “tenda verde”, rendeva improvvisamente comica e grottesca la sceneggiata mediatica organizzata con decine di telecamere dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, accorsi, sgomitando tra loro, per impossessarsi di uno spot pubblicitario in proprio favore, che si rivelava invece uno spot per i jihadisti, come hanno dimostrato poi gli innumerevoli messaggi euforici di “vittoria” postati sui siti dell’islam fondamentalista. Le prime dichiarazioni della ragazza sono sembrate confermare l’avvenuta sua radicalizzazione: non ha speso, infatti, una sola parola per biasimare i suoi rapitori che la hanno rapita 18 mesi fa. Ha anzi tenuto a sottolineare che la hanno “trattata bene”, che non le hanno usato violenza e che le avevano garantito la vita a patto che non cercasse di fuggire (che gentili!).

Ha aggiunto di essere in perfetta salute fisica e mentale. Ha poi lasciato intendere di essersi sposata con uno di loro: “non mi sono sposata contro la mia volontà”, ha infatti tenuto a dire senza che nessuno glielo avesse chiesto. E ha poi aggiunto di essersi “liberamente convertita” all’Islam dopo avere letto il Corano. Già ma il punto è: a quale Islam si è convertita? Per chi sa come deve avvenire una conversione, cioè recitando la formula rituale (la shahada) in presenza di alcuni testimoni, non vi sono molte speranze che non sia quello violento anti-occidentale di quei fondamentalisti e sanguinari terroristi che la tenevano prigioniera. Insomma ci sono forti indizi che la ex cooperante italiana Silvia che attendevamo è diventata ora una musulmana radicale Aisha. È ovvio che qui non entriamo nel merito delle dinamiche psicologiche di una ragazza tenuta prigioniera per 18 mesi nelle mani di uomini che esercitavano su di lei un potere assoluto. Più che la sua responsabilità e volontà certamente condizionata, viene in discussione la responsabilità di una squinternata ed irresponsabile Onlus “Milele” di Fano che circa due anni fa la ha inviata in una zona ritenuta “sensibile” cioè a rischio dalla Farnesina. Ma la sua tunica verde e le sue parole generano comunque riflessioni e domande inaggirabili. Se infatti non era Silvia, ma la radicalizzata Aisha la giovane donna che i nostri servizi segreti hanno prelevato in Somalia e condotto in Italia su un aereo di Stato, ciò vuol dire che non era più una prigioniera e che non c’è stata alcuna “liberazione”.

Lei non era più, infatti, la ex prigioniera Silvia, ma la “sorella” nell’Islam Aisha, e quel che più conta sorella nell’Islam radicale, a cui nessuno poteva più torcere un capello. Tranne il marito, che come è sembrata ammettere la ragazza ha sposato liberamente e a cui deve – secondo i dettati dell’Islam radicale un’obbedienza cieca. Ciò potrebbe significare che i nostri servizi – e cioè i contribuenti italiani – hanno pagato una somma notevole (secondo alcune fonti fino a quattro milioni di euro) per liberare una persona non più prigioniera, liberamente convertita e sposata, che viveva senza pericolo alcuno in un ambiente cultural religioso di sua scelta. I servizi hanno, anzi, probabilmente portato in Italia una potenziale nemica culturale (e potenzialmente non solo culturale) dell’Italia e degli italiani. Inoltre il fatto che Aisha abbia detto in un primo momento (ma poi non ha voluto confermare) di voler “tornare in Somalia” (si badi non in Kenya, dove è stata rapita, ma in Somalia dove si è convertita e probabilmente sposata) è molto significativo: ciò potrebbe significare che è venuta in Italia – a spese dello stato italiano, accolta in pompa magna e con squilli di trombe e ridondanza di campane a festa (che un musulmano fondamentalista detesta), sostanzialmente per poter vedere i genitori per poi ricongiungersi in Somalia con il marito e con i suoi ex rapitori e novelli fratelli in una fede religiosa che è eminentemente politica e violentemente anti-occidentale.

E godere con loro del riscatto pagato dagli italiani, che comunque saranno usati per fini di terrore. Un’altra conseguenza del fatto che Silvia abbia cambiato il suo nome in Aisha in un contesto islamista fondamentalista è di carattere civile. Quell’Islam, infatti, non riconosce le nazioni, ma solo la “umma” (comunità islamica) universale. E’ quindi lecito presumere che Aisha non si senta più nemmeno italiana. Qualcuno dei giornalisti che la incontreranno dovrebbero chiederglielo. La sorpresa è quasi garantita. Se – come sembra – restano pochi dubbi, ma solo una speranza che la ragazza non si sia radicalizzata, c’è da porsi una domanda di fondo. I servizi di intelligence italiani non sapevano? A quanto sembra non si sono nemmeno posti il problema. Non sapremo mai come si è arrivati davvero alla svolta finale, alla mediazione dei servizi turchi che ha reso marginale –quello di grotteschi ufficiali pagatori per la “liberazione” di una persona ormai libera e felice e forse di una islamista radicale – quello dei servizi italiani. Ma le figure comiche e grottesche sono quelle di Conte e Di Maio (con mascherina tricolore) che si erano tenuti reciprocamente all’oscuro della trattativa finale e avevano sgomitato per potere primeggiare in un clamoroso spot pubblicitario all’Islam radicale.

Aggiornato il 12 maggio 2020 alle ore 11:15