Conte e il giuoco delle parti

“Il segreto dimora nella stanza più oscura del potere”

 Elias Canetti

È già passato un mese dal genetliaco di Giuseppi Conte, che ha festeggiato il terzo compleanno a Palazzo Chigi, affrancato da entrambi quegli invadenti dioscuri che all’inizio dell’incarico lo affiancavano e stringevano in morsa asfissiante. Finalmente a distanza di 27 mesi dall’insediamento, il premier non parlamentare e non politico brilla di luce propria e il suo bagliore irradia l’orizzonte della vita repubblicana. Nella disattenzione dell’opinione pubblica e in clima di semi-indifferenza si è consumato un nuovo episodio teatrale di commedia dell’arte all’italiana, sintomo inequivocabile del grave livello pandemico raggiunto dall’ordinamento e dalle sconquassate istituzioni costituzionali. Peraltro dall’inizio del “lockdown” – non ce ne voglia Vittorio Sgarbi, per il reiterato uso dell’anglicismo, la cui retta pronuncia evoca un’innegabile valenza onomatopeica (serrata al ribasso) – in solitario ebbi la ventura di additare il pericolo del pervasivo dilagare del virus dell’emergenza epidemiologica, dall’ambito sanitario alla sfera socio-economica, ed infine con effetti devastanti nei rapporti politico–costituzionali. Lo skyline della Repubblica, alla fine del periodo emergenziale tuttora in corso e che si ha interesse a mantenere prorogabile ad libitum, risulterà irrimediabilmente alterato, con buona pace di tanti velleitari Custodi della costituzione, che preferiscono glissare sull’interrogativo base: Quis custodiet custodes?

La presidenza del Consiglio, che già dall’inizio della legislatura aveva subito una significativa mutazione, da centro propulsore e di coordinamento dell’intera attività governativa , a mera “Chambre d’enregistrement” di volontà politiche formatesi fuori e veicolate, non già nelle segreterie di Partiti nazionali, ma dai due vicepresidenti del Consiglio plenipotenziari – si è venuta a caratterizzare con il Conte uno a cabina di regia di strategie e intrallazzi, di cui il più rilevante in ambito europeo con l’acquisizione tramite l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta della disponibilità a votarla a presidente Commissione europea. L’essersi procacciato in sordina, nelle anticamere opache dei meandri di Bruxelles, il voto decisivo degli europarlamentari M5s, disinvoltamente rinnegatori del mandato popolare per cui avevano riscosso consensi, ha consentito a Giuseppi di affrontare il passaggio al Conte bis, senza troppe ambasce, forte dell’appoggio convergente dell’inquilino del Colle e della nomenklatura europea. Palazzo Chigi è diventato il luogo di premiership trasformista per antonomasia, rinverdendo con rinnovata declinazione il vituperato costume politico di fine XIX secolo; luogo di progressivo esautoramento del Parlamento, con i Dpcm a raffica, per tacere del decreto legge modificativo del sistema elettorale della Puglia, in estensione del principio di parità di genere, esercitando il potere sostitutivo ex articolo 120 comma II, della Costituzione, per la asserita tutela dell’unita giuridica, in adeguamento del recalcitrante territorio alla legge n° 20 del 2016 (cosiddette Quote rosa).

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Il premier, a cui spetta la direzione ed il coordinamento della politica generale del Governo, con assunzione di piena responsabilità, secondo l’articolo 95 della Costituzione, nel breve volgere di appena più di un anno (giugno 2018-settembre 2019) è passato da scialba figura di Travet, stretta dai due protagonisti dell’esecutivo gialloverde – cui non lesinava chiedere consigli sottovoce, quando l’ordine dei foglietti d’appunti del discorso di insediamento a Montecitorio non si dipanava – a leader indiscusso, stigmatizzatore dei comportamenti latitanti e/o esuberanti del suo ex vicepremier (discorso in Senato 20 agosto 2019), dando sfoggio del più abile e bieco trasformismo e di capacità camaleontica di adattamento al mutato contesto politico in ragione della determinante fiducia Pd al nuovo esecutivo (di color giallo–fuxia, come sostiene Diego Fusaro, piuttosto che giallorosso). Un passo indietro si impone: riavvolgendo la pellicola, è opportuno tornare al debutto del professor Conte – sedicente “avvocato del Popolo” – sul palcoscenico mediatico nazionale al seguito dell’allora leader Maximo M5S Luigi Di Maio; quel “Gigino” per l’amico “Fofò”, arrogatosi il merito di aver presentato il preclare docente fiorentino al gotha pentastellato. Particolare non trascurabile visto come il riconoscente premier ha blindato il traballante Guadasigilli, in occasione voto su mozione sfiducia individuale ad Alfonso Bonafede. Ebbene senza voler divagare su spessore del personaggio, prescelto dal barbuto Padre nobile del Movimento, il comico genovese, dopo un passaggio tra Piattaforma Rousseau ed assise riminese, è noto che una manciata di settimane prima della competizione elettorale del 4 marzo 2018, egli si sia presentato in programma televisivo di vasta audience, condotta da vestale del piccolo schermo, per presentare una mini compagine dell’esecutivo, fatto inusitato nella storia del Paese e nelle pur tante capriole della forma di governo parlamentare.

Tale “squadretta” era formata da tre uomini e una donna, fra i primi spiccava, oltre ad un docente di economia all’Università di Pretoria, tal Giuseppe Conte. Aspetto distinto, eloquio forbito e sobrio, il nostro si presenta al grande pubblico quale docente di diritto civile all’Università di Firenze, di formazione cattolica a venature progressiste, confessando di aver sino ad allora votato a sinistra, senza iscrizione al Pd, né prima né dopo Matteo Renzi. Il suo curriculum, che a successivo esame certosino ha rivelato millanterie di piccolo cabotaggio su esperienze didattiche presso università estere, tuttavia riferisce un dato saliente, sottaciuto dai più acuti osservatori: la designazione da membro elettivo nella pregressa consiliatura, appena terminata (2013-2018), al Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa (Cpga) insediato a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato. Orbene se prima della deflagrazione dell’affaire Palamara, oltre il 70 per cento degli italiani ignorava cosa fosse e di cosa si occupasse il Csm, organo di autogoverno dei magistrati civili e penali, c’è da scommettere che una percentuale assai maggiore non conosca che il Cpga esercita le stesse competenze del Csm (attribuzioni, nomine, promozioni, trasferimenti e procedimenti disciplinari) nei confronti dei magistrati amministrativi dei Tar e del Consiglio di Stato, con assai minore rilevo mediatico.

Mentre da lì a qualche settimana, il neodesignato premier Conte incappò nell’incidente di percorso del curriculum “esagerato” se non proprio “taroccato “ (come aduso il prof. Walter Ricciardi, spacciatosi nel periodo di massima virulenza pandemica per componente dell’Oms, mentre era mero consulente nominato dal ministro della Salute Roberto Speranza, con funzioni di collegamento), nessuno è più ritornato sul rilevante trascorso lavorativo di Conte, in seno al Cpga, ed alle sue implicazioni presenti. Innanzitutto è lecito domandare chi l’abbia segnalato primo (il suo maestro prof. Guido Alpa?) e designato poi al Cpga, poiché la stragrande maggioranza è d’estrazione togata – in analogia col Csm – e nella restante quota laica sono designati Docenti autorevoli di comprovata esperienza in specifico settore giuspubblicistico. A tale superspecializzazione supplisce a volte la raccomandazione dai cosiddetti “piani alti” piuttosto che dei poteri forti, come i membri di nomina governativa del Consiglio di Stato (ricordate Renzi e la vigilezza di Firenze, passata per Palazzo Chigi, nominata consigliera di stato, con indignazione impugnatoria dell’Associazione magistrati Tar, vicenda più unica che rara nella storia della giustizia amministrativa). A noi Conte che “ha svolto l’attività di avvocato in materia di diritto civile e commerciale, maturando un’ampia esperienza anche in materia di arbitrati” – come recita il Curriculum vitae ufficiale – sembra del tutto sfornito di competenza specifica nel settore; anche a sbirciare tra le sue numerose pubblicazioni di cui negli ultimi lustri, perlopiù in volumi collettanei sotto la vigilante supervisione dell’onnipresente professor Guido Alpa, uno solo intitolato “la disciplina sull’appalto tra pubblico e privato; Esi-Napoli 2010”, potrebbe spacciarsi per interdisciplinare. La pressoché totalità delle altre pubblicazioni attengono a materie (diritto matrimoniale, dell’intermediazione finanziaria, simulazione, regolamentazione professione avvocato), che in nulla concernono, nemmeno larvatamente, al diritto amministrativo sostanziale e processuale, o a fortiori al diritto costituzionale.                            

Forse la devozione palesata per San Pio da Pietrelcina lo ha indotto ad astenersi dal “bruciare energie” intellettive in campi in cui, invece di studiarlo e ricostruirlo sistematicamente, sarebbe stato poi chiamato dalla provvidenza a crearlo il diritto pubblico, al di fuori e ben oltre gli schemi consueti. Con l’uso ed abuso dei Dpcm, l’argomento saliente è costituito dalla secretazione dei verbali del Comitato tecnico scientifico in materia Covid, assunti come atti propedeutici delle scelte governative “vincolate” in tema di emergenza sanitaria; verbali che solo dopo una meritoria sentenza del Tar del Lazio – sezione I del 22 luglio 2020 si son iniziati a rendere disponibili, ma non sistematicamente ma a brandelli e con ricorrenti… omissis… Ebbene lo statista di origini foggiane, il più brillante figlio di Volturara Appula, misconoscendo l’esercizio dell’accesso ordinario e quello civico ex Foglia, ha provato in un primo tempo ad opporsi a divulgare documenti fondamentali del periodo emergenziale, di assoluta rilevanza pubblica, pervenendo ad impugnare subito la sentenza n° 8615/20 innanzi al Consiglio di Stato, con richiesta di misura cautelare monocratica urgente, concessa con motivazione anfibologica dal presidente Franco Frattini (in corsa per il posto alla Consulta). Dietro i vari tecnicismi processuali e non della vicenda, balzano agli occhi alcuni dati ineludibili.

1) L’uso scriteriato e reiterato dei discutibili Dpcm – peraltro sino al decreto legge del marzo 2018, senza nemmeno una norma primaria di copertura – in materie con forte rispetto su plurime libertà costituzionali dei cittadini, per un periodo lungo e per un raggio esteso all’intero territorio nazionale, ha suscitato in ogni persona di buon senso più di qualche critica e reprimenda.

2) Il sacrosanto diritto alla trasparenza oggettiva della Pubblica amministrazione (casa di vetro) non può non riguardare gli atti delle istituzioni apicali e si acuisce in periodo di emergenza, tuttalpiù il bilanciamento degli interessi poteva consigliare il differimento dell’accesso civico a fine emergenza, ma mai impedire o ostacolare la Discovery, in violazione dei principi fondamentali di trasparenza amministrativa e responsabilità delle scelte democratiche.

3) Dati i trascorsi a Palazzo Spada in veste di controllore dell’operato di tutti i giudici amministrativi (Tar e Consiglio di Stato), Giuseppe Conte, premier ambidestro, forse avrebbe potuto e dovuto cogliere l’opportunità di astenersi dall’ incaricare la prona avvocatura dello Stato dall’Appello al Consiglio di Stato. Lui che è aduso ad inalberarsi rispetto a sacrosante critiche di operare “nell’ombra e dentro le ombre”.

Conte forse conta che ci si sia facilmente dimenticato che sino al marzo 2018, cioè il mese delle elezioni politiche – ha fatto parte del Cpga; in questa opzione politica di ostinata secretazione di atti, si rintraccia un disegno modesto, tipico di “avvocatino di provincia” e non già del reclamato Tribuno del popolo. Prender tempo, oltre un mese – giacché la sentenza del 22 luglio si sarebbe dovuta eseguire il 12 agosto, a pena di nominare di commissari ad acta – è tornato utile al premier che nell’ultima decade di luglio ha portato in Consiglio dei ministri proprio la contestata proroga dello stato d’emergenza nazionale (pretesa al 31/12, ridotta 15/10). E se per deliberare lo stato d’emergenza ex Codice di Protezione civile, il 31 gennaio 2020, c’era voluta la raccomandazione dell’Oms e il solito parere del Comitato tecnico scientifico, ora la proroga è stata disposta in base a presupposti assai meno solidi, nell’intento di assicurare al commissario Domenico Arcuri e a varie autorità emergenziali ulteriore periodo di sopravvivenza. Finché c’è virus, c’è speranza per Conte & co. Conte passerà alle cronache come il peggiore e più spregiudicato Capo del Governo trasformista; premier come “L’uomo senza qualità”, protagonista del romanzo di Robert Musil, simbolo di decadenza nella mitteleuropa asburgica; la sua gestione del potere esecutivo è virulenta e purulenta (nomine sottobosco, proroga responsabili servizi segreti), abbisognevole di ben più di una ordinaria sanificazione. Conte rappresenta il volto più genuino dello sfascio della Repubblica; è il prototipo della compagine di governo affermatasi nell’arco temporale dal 25 luglio all’8 settembre 1943, che decretò la morte della patria risorgimentale e l’inizio di una guerra civile inoculatasi nel Dna della Repubblica. Finalmente – meglio tardi che mai – qualcuno inizia ad accorgersene: “Conte è il vuoto politico come anticamera di qualunque politica. È più facile cambiare contenuti, quando non si hanno contenuti”, ha detto Ernesto Galli della Loggia. Esempio preclare di vuoto pneumatico persistente, 77 anni post emblema dello sfascio.

Aggiornato il 09 settembre 2020 alle ore 13:55