Breviario di antropologia comunista

Perché antropologia? Pensare che le opzioni politiche di fondo appartengano alla sola sfera intellettiva è profondamente errato. Sono così evidenti, su scala planetaria, i fallimenti dell’economia pianificata, nonché le conseguenze letali del dirigismo statale sulla libertà umana e sul benessere della convivenza sociale, che non risulta spiegabile l’esistenza di una schiera così folta e variegata di “ciechi”. La spiegazione risiede in ciò: chi non vuole vedere compie un scelta, che l’intelletto copre di giustificazioni falsamente dedotte dalle varie scienze sociali, le cui radici tuttavia affondano nelle viscere dell’uomo. Il filosofo Jonathan Haidt (nel suo libro Menti tribali, edizioni Codice) ha utilizzato un’immagine per spiegare il fondamento sentimentale delle opzioni politiche consolidate nel lungo periodo: l’intelletto è paragonato a un uomo in groppa all’elefante, mentre la sfera intuitiva-sentimentale della persona è rappresentata dall’elefante stesso; alla proporzione fisica tra l’elefante e l’uomo corrisponde il rapporto tra le due componenti dell’opzione. L’abbiamo chiamata opzione, ma sarebbe meglio chiamarla “simpatia”, per significarne appunto la prevalente componente sentimentale, alla quale si deve, in ultima analisi, la spiegazione del numero incredibile di ciechi, soprattutto in Italia, e la differenza antropologica sottesa ai due universi: liberale e comunista.

Perché comunista? Frettolosi commentatori, consapevoli e inconsapevoli simpatizzanti dell’universo fondato sulla prevalenza dello Stato sul cittadino o – se si preferisce – del pubblico sul privato, hanno teorizzato che il comunismo fosse definitivamente scomparso dalla faccia della terra, con il crollo del muro di Berlino. In verità è crollato il muro, ma non è morto l’antropos comunista; e non sono morte le aspirazioni e le inclinazioni che albergano in lui. D’altronde le attuali dittature “popolari” (Cina, Corea del Nord, Venezuela, Bolivia) sono espressione di un autentico ed esplicito comunismo, ben vivo e vegeto. Nel mondo occidentale, dopo Bad Godesberg, è prevalsa fortunatamente la faccia moderata e non quella bolscevica del socialismo, ma le insidie dell’ordine fondato sulla prevalenza di ciò che gli uomini hanno in “comune” su ciò che hanno in privato, permangono attualissime. La strisciante, forzosa omologazione al “pensiero unico”, politicamente corretto, procede a grandi passi, riducendo sensibilmente la nostra libertà. L’Italia, patria del più grande Partito comunista dell’Occidente, è il più “sovietico” tra i Paesi occidentali (basta pensare all’immensa macchina statale che depreda il reddito degli italiani, con l’imposizione tributaria più alta al mondo). Quale parola, dunque, può meglio significare, in forma evocativa e sintetica, l’appartenenza insieme sentimentale e intellettuale di tanti uomini a quell’universo di teoria e prassi, fondato sulla supremazia della res publica, ossia comune a tutti, sulla res privata? Se non comunista? Ciò posto, è chiaro che usiamo il termine comunista in un’accezione lata, comprensiva delle varie declinazioni della dottrina e prassi politica di ascendenza marxiana.

La base antropologica del comunismo in tutte le salse è data appunto dal desiderio viscerale di omologazione, il cui risvolto di medaglia è il disprezzo della diversità. Il comunista è costretto a nascondere il sentimento di disprezzo per l’infinita diversità – ossia disuguaglianza – degli uomini, dietro due paraventi: l’ideale di uguaglianza e la tutela di talune tipologie astratte di “diversi” (supposti deboli e bisognosi di protezione sociale). Egli avversa visceralmente la diversità altrui, la vorrebbe eliminare, riconducendo tutti i consociati a una sola tipologia, ma avverte l’impossibilità di farlo, giacché la natura umana è variegata. Da qui due importantissime conseguenze: il comunista non può che amare l’autoritarismo politico, avendo egli stesso un’intima vocazione autoritaria; inoltre è costretto ad avere sempre e comunque davanti a sé un nemico da combattere. L’omologazione degli uomini non può aver luogo se non forzosamente, sicché l’aspirazione autoritaria è indissolubilmente legata all’universo antropologico comunista. Al contempo l’omologazione forzosa crea da sé il nemico. Le personalità libertarie sono destinate al dissenso e subiscono pertanto, nel migliore dei casi, la sanzione della disapprovazione sociale, quando non vengono additate al pubblico ludibrio come nemici del “progresso”.

S’intende che il disprezzo della disuguaglianza non può essere confessato expressis verbis come tale, ossia come sentimento profondo e viscerale; viene giustificato intellettualmente (dall’uomo che siede sull’elefante) in guisa di benevola e altruistica aspirazione all’uguaglianza dei consociati, in relazione al godimento dei beni economici. Il comunista disprezza profondamente l’unica uguaglianza possibile tra gli uomini, ossia quella di fronte alla legge, e la chiama con molta sufficienza “formale”; vuole sostituirla con un’altra di maggiore consistenza, che chiama “sostanziale”. Peccato che questa aspirazione è irrealizzabile, nulla più che un’utopia messianica, peraltro abbastanza evidente. A ben vedere, egli non lo ammette coram populo, ma nell’intimità della sua coscienza ne è consapevole; preferisce tuttavia essere accusato di utopismo, piuttosto che confessare l’abietto sentimento di disprezzo nei confronti dei propri simili. Può sempre dire che la meta finale sarà raggiunta domani, mentre oggi ci tocca aspettare.

Al nobile fine di costruire siffatta uguaglianza “sostanziale”, bisogna tutelare i “deboli”, affinché non siano sopraffatti dai “forti”. Mentre il comunista ottocentesco limitava tale contrapposizione ai rapporti instaurati tra proprietari (dei mezzi di produzione) e proletari, oggi i “deboli” sono diventati i “diversi”. Lungo questa strada, il nuovo comunista del terzo millennio ravvisa nelle “minoranze” i nuovi “deboli” oppressi dalle “maggioranze”. Simpatizza coi neri che si presumono oppressi dai bianchi, con gli islamici “ vittime” di non si sa quale islamofobia, che tuttavia godono di una libertà mai sognata nei loro paesi d’origine, con gli omosessuali discriminati dagli eterosessuali, con gli zingari nominalmente nomadi, in concreto stabilmente insediati nel territorio sottoposto alle loro scorribande, per i quali non vige alcuna regola del consesso civile vigente per tutti gli altri (a cominciare dalla scuola dell’obbligo per i minori) etc.. Il comunista non ama il nero, l’islamico, l’omosessuale, lo zingaro in carne ed ossa; ne apprezza solo la categoria ideale, tenendosi ben lontano dall’essere vivente. In verità il suo vero sentimento è l’avversione per tutto ciò che afferisce alla civiltà occidentale, nel cui seno è nata la sua stessa utopistica dottrina. Egli vuole tutelare le categorie dei “diversi” in antagonismo con la sua stessa identità storica e culturale, mentre non tollera la naturale diversità dei suoi simili in carne ed ossa.

Sicché il tratto caratteristico del comunista – che lega insieme la sua furia omologatrice, le sue utopistiche aspirazioni egualitarie e le ricette “salvadeboli” – risiede nel rigetto dell’identità culturale tradizionale (pervenutagli per traditio, dalla generazione passata alla presente) in nome di un multiculturalismo-globalismo desocializzante e alienante (un tempo chiamato internazionalismo proletario). È questa la sua “socialità” di carta e virtuale, evanescente e metafisica, che affonda le radici nel rifiuto dell’identità occidentale. In ultima analisi la sua antropologia si riassume nel masochismo: il comunista lotta per creare forzosamente le condizioni dell’omologazione universale, in contraddizione con la naturale inclinazione dell’uomo alla libertà individuale; vuole creare i presupposti della convivenza infelice; dunque lavora per la sua stessa infelicità. Il paradosso del comunista è la sua permanente insoddisfazione; non può acquietarsi in alcun caso, nemmeno quando vive in un Paese comunista, essendo costretto sempre e comunque a rinviare a un lontanissimo “domani” il conseguimento dei suoi fini.

(1/Continua)

Aggiornato il 30 settembre 2020 alle ore 12:50