Il “welfarismo” non rilancia la famiglia

Nel nostro Paese c’è la convinzione del tutto erronea che la crisi demografica sia dovuta ad una troppo poco incisiva azione del welfare. I giovani – è opinione diffusa – non fanno più figli perché lo Stato non investe a sufficienza, perché non vengono incentivati a farlo. Di conseguenza, si ritiene che l’unico rimedio possibile, l’unico modo per rilanciare la famiglia come istituzione fondamentale della società e per far tornare in attivo la bilancia demografica è quella di investire e di elargire sussidi, bonus e sovvenzioni varie. Questa sembra essere l’opinione anche di Papa Francesco e del premier Mario Draghi, che sul tema hanno avuto occasione di pronunciarsi pochi giorni fa, in occasione dell’apertura degli Stati Generali della Natalità, incontro promosso a Roma dal Forum delle associazioni familiari per raccogliere e discutere proposte volte ad invertire il trend demografico.

Il Pontefice ha parlato di come la famiglia stia lentamente sprofondando nelle “sabbie mobili” dell'incertezza: si parla tanto di sostenibilità economica, ambientale, tecnologica, ma mai di sostenibilità generazionale, ossia della capacità sociale di garantire un costante ricambio demografico in grado di assicurare il futuro delle nazioni. Il Papa ha sottolineato anche come il rilancio della natalità sia di importanza centrale anche per quello economico – dal momento che non può esservi un’economia dinamica in un contesto socio-demografico stagnante – e come i figli siano la speranza e l’unica vera garanzia per il futuro. Sulla stessa lunghezza d’onda il premier Mario Draghi, il quale ha ricordato che un’Italia senza figli è un’Italia senza avvenire, incapace di pensare al domani. Un’Italia destinata a invecchiare e progressivamente a scomparire. Per questo, lo stesso premier, ha rivendicato l’impegno del Governo per aiutare le giovani coppie e le donne.

Infatti – sottolinea Draghi – oltre all’assegno unico per i figli previsto dal Family Act del 2020 approvato sotto il governo Conte bis (ma con il sostegno unanime di tutti i partiti), il “decreto imprese”, in procinto d’approvazione, garantirà il sostegno dello Stato per l’acquisto della prima casa, abbattendo al contempo gli oneri fiscali.

Bisogna rendere le persone consapevoli dell'importanza di avere figli, rimarcando come tale obbiettivo non sia antitetico rispetto all’emancipazione individuale e, soprattutto, femminile, dice Draghi. È pertanto necessario – conclude il capo del Governo – porre in essere le condizioni che permettano alle persone di ricominciare ad essere prolifiche. Quest’ultima dichiarazione di Draghi è quella dalla quale bisogna partire: è sicuramente vero che il problema del declino demografico si risolve ponendo in essere le condizioni perché i giovani possano ricominciare a mettere su famiglia. Ma la prima è più importante di queste condizioni è un’economia dinamica. Il Papa e il premier hanno ragione quando dicono che i figli sono il futuro di una società e che demografia ed economica sono strettamente correlate tra loro: è proprio per questo che bisognerebbe evitare – come invece vuole il senso comune – di intraprendere ulteriori politiche distorsive sull’economia, le quali si riverberano poi sul buon andamento demografico.

I poteri pubblici non devono “creare” queste condizioni, ma semplicemente lasciare che esse si diano spontaneamente, in maniera naturale, non facendo altro che astenersi da politiche capaci di mutare o influenzare le scelte e gli orientamenti delle persone. Se davvero si vuole invertire il trend demografico e fare in modo che gli italiani ricomincino a fare figli, quello che si deve evitare sono proprio i rimedi a base di incentivi economici, sussidi e bonus vari: come tutti gli interventi di questo genere, sono destinati a non sortire alcun effetto significativo, a favorire solo le varie forme di abuso e a produrre squilibri economici. Al contrario, bisogna lasciare che si realizzi un equilibrio economico ottimale, da cui consegue quello demografico. Ciò significa procedere a un radicale taglio delle tasse, alla semplificazione normativa e burocratica, alla liberalizzazione di contratti e previdenza sociale, alla riduzione dei costi del lavoro e tutte quelle riforme volte ad abbattere ogni tipo di ostacolo alla libertà economica. È fin troppo ovvio, infatti, che la precarietà economica e occupazionale – prodotta dall’interventismo pubblico – è la vera radice del declino demografico: difficile che gli italiani pensino a mettere su famiglia se il mercato del lavoro non viene messo nelle condizioni di offrire loro le giuste opportunità, se non si lascia la “mano invisibile” libera di agire.

Il fatto stesso di aiutare i giovani ad acquistare la prima casa con dei mutui garantiti dallo Stato, proprio come incentivare le coppie a fare figli con “redditi di maternità” o simili, significa pretendere che alcuni facciano dei sacrifici – cioè che si sobbarchino i costi – per l’interesse di qualcun altro. Questo ha delle conseguenze sulle successive scelte e comportamenti di coloro che hanno dovuto sopportare tali costi. Siamo sempre al punto di partenza. C’è poi una evidente ragione culturale alla base del declino demografico, ancor più complessa di quella economica. Non c’entra nulla il relativismo criticato dai teo-conservatori: semplicemente si è smesso di attribuire valore e significato alle relazioni autentiche e stabili.

Il welfare ha reso superflue anche quelle: che bisogno c’è di legarsi gli uni agli altri e di prestarsi assistenza reciproca se c’è uno Stato che svolge le stesse funzioni e che tende a premiare i comportamenti irresponsabili e parassitari? Anche in questo caso, la libertà del mercato – capace di responsabilizzare le persone e di educarle al sacrificio per ottenere ciò che vogliono – può contribuire ala rinascita di quei valori fondamentali per il funzionamento di qualunque società, e ancor più per una società capitalista.

Aggiornato il 18 maggio 2021 alle ore 11:53