L’abbraccio mortale

Mussolini e Draghi

Nel momento in cui Benito Mussolini avviò la conquista dell’Etiopia, il destino italiano si delineò con una certa chiarezza. In quel momento il Duce si infilava in un collo di bottiglia, perdendo progressivamente per strada uno dei suoi fermi principi in politica estera: tenersi sempre “le mani libere” per prendere le soluzioni migliori davanti al procedere degli eventi. Le sanzioni che la Società delle Nazioni – di cui l’Etiopia di Hailè Selassié era parte – inflisse all’Italia, la mandarono in braccio alla Germania di Adolf Hitler. In seguito – soprattutto con la Conferenza di Monaco, dalla quale uscì sicuramente con un successo personale, ovvero l’aver allontanato per qualche mese lo spettro della guerra – il Duce cercherà sempre di recuperare quelle mani libere, che però aveva ormai perduto.

La politica mussoliniana delle mani libere non era soltanto sottesa dall’ambizione fascista di dare all’Italia un ruolo determinante e di prestigio tra le potenze. Aveva anche una certa connessione con quello che era, comunque, un interesse economico italiano. Mirava a dei risultati che si sarebbero potuti spendere a favore della nazione, come qualunque “buon” governante dovrebbe fare. Se per la storiografia di sinistra il fascismo fu da condannare in toto, la storiografia italiana non di parte, ovvero quella che cercò di inquadrare con ragionevolezza la posizione italiana negli anni Trenta, a cominciare da Renzo De Felice, considera la guerra d’Etiopia un primo passo, ma non certo irreversibile, per condannare il fascismo. La guerra d’Etiopia ricevette, infatti, un altissimo consenso. Le sanzioni, nel Belpaese, furono vissute con indignazione, al punto che la campagna di “oro alla Patria” ebbe un grande successo.

In altre parole, va detto che, la guerra d’Etiopia fu ancora un passaggio storicamente legittimo, compiuto da un regime che con la maggioranza degli italiani aveva stretto un implicito patto, un Paese nel quale risuonava il consenso. Invece, e infine, i passi considerati illegittimi, catastrofici e imperdonabili furono due: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Il primo appartiene a una deriva ideologica che appare del tutto immotivata. Non c’era nulla nel dna fascista che potesse prefigurare le leggi razziali. Molti ebrei avevano infatti aderito al fascismo. L’entrata in guerra fu poi, in definitiva, una diretta conseguenza della strada senza uscita, avviata con la guerra d’Etiopia e prefigurata dalle sanzioni. La Germania era l’unica luce accesa nella politica internazionale del rinato Impero italiano, e non poteva certo essere spenta. È pur vero che – come racconta il professor Pietro Pastorelli – il Patto d’Acciaio fu soprattutto una svista di Galeazzo Ciano e della Farnesina. L’alleanza “offensiva” è un errore da “incompetenti” che nessun ministero degli Esteri avrebbe mai potuto compiere, se fosse stato composto da funzionari solerti e preparati a limare e rivedere un trattato internazionale dal quale ricavare dei vantaggi.

Va detto, altresì, che la presunzione di inaffidabilità bellica dell’Italia – nata con l’entrata nella Prima guerra mondiale, e sempre implicitamente denunciata dalla Germania – fu alla fine, insieme all’errata valutazione mussoliniana sulla durata del conflitto, la molla che fece in modo che il 10 giugno 1940 Mussolini scelse di dichiarare guerra alla Francia. Questa, era già stata piegata da Hitler, dopo che Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Belgio e Olanda erano cadute sotto il dominio nazista.

Dunque, fu proprio quella clausola del Patto d’Acciaio, sfuggita al controllo della Farnesina, a indurre il regime a tenervi fede, probabilmente anche solo per paura di una possibile rappresaglia tedesca, qualora l’Italia entro l’anno dall’inizio del conflitto non avesse preso posizione al fianco della Wehrmacht. A questo si aggiungeva il fatto che, qualora la guerra fosse davvero stata breve, nessuno avrebbe messo in discussione che il collocamento dell’Italia nell’alleanza avrebbe avuto delle contropartite. Sedersi al “tavolo della pace” avrebbe assicurato qualcosa anche all’Italia, anche senza il pregiudizio di “poche migliaia di morti”. Era dunque scontato che un’alleanza offensiva contenesse in sé il rischio di consegnare e incatenare il Paese alle decisioni prese da altri. E, nel caso specifico, sancì l’abbraccio mortale del nostro Paese alla spregiudicata – e, come lo svelamento di Auschwitz sancì, criminale – politica di conquista hitleriana, con tutto quello che ne seguì. Il resto è storia.

Vediamo ora come connettere questa “storia” con quanto è avvenuto con Mario Draghi e l’Ucraina. L’Italia è nella Nato. Dopo i tentativi berlusconiani di accreditare la Russia nel novero dei Paesi occidentali, la Nato – sotto la spinta di Barack Obama, nel quadro della sua dissennata e guerrafondaia politica estera – ha progressivamente scelto di confinare la Russia ai margini dell’Occidente. Questo è avvenuto specialmente con la questione ucraina e il golpe di piazza Maidan. L’Italia dipende dal gas russo. Non solo la sua attività manifatturiera è legata economicamente alla Russia dall’energia, ma il gas russo riscalda le case e accende le luci e i frigoriferi al loro interno. Questo è un dato incontrovertibile. Questa dipendenza è il frutto di scriteriate scelte politiche fatte in passato e che, nonostante la piega presa dalla politica internazionale della Nato e dell’Ue nei confronti della Russia, nell’ultimo decennio nessun politico di lungo corso, a cominciare dal presidente Sergio Mattarella, e proseguendo con Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, ha mai messo in discussione.

Un’analisi storica, a posteriori, di quella che sarà la futura mappa bellica, dirà che l’inerzia energetica del nostro Paese ha due cause: è stata decisa a tavolino proprio per seguire una agenda anti-italiana, oppure è il prodotto di una negligenza mortale. In entrambi i casi qualcuno dovrà pagare. Tuttavia, a ben guardare, l’Italia, tenendo conto soprattutto della sua dipendenza dalle fonti russe di energia, ha sempre continuato a tenere un profilo di grande amicizia e affidabilità verso Mosca, al punto che durante la pandemia il Governo Conte 2 consentì a contingenti medici russi – e cubani, regime ancora connesso a Mosca – di entrare liberamente nel nostro Paese.

Ora, andando a prendere le prime dichiarazioni del premier Draghi al momento dell’invasione dei carri armati di Vladimir Putin, si noterà che costui, per qualche ora, cercò di svincolare l’energia dalle sanzioni, conoscendo bene quale fosse la drammatica situazione della dipendenza italiana. Il disaccoppiamento non funzionò e cadde ai primi conciliaboli con l’Ue e gli Usa. Lungi dal prendere le distanze dalle misure anti-russe, per salvaguardare l’economia italiana, subito Draghi divenne uno dei più feroci avversari di Mosca. In prima linea a rivendicare la linea dura.

Torniamo ora alle “mani libere” mussoliniane. Sarà che si sta di fronte al Duce come davanti a un “condannato dalla storia”. Ma erano così sbagliate? Di sicuro Mussolini sbagliò tutto. E Draghi, invece? L’Italia – si diceva – è nella Nato, che l’obbliga a intervenire qualora un alleato venga attaccato. L’Ucraina non è però nella Nato. Avrebbe dunque potuto, Draghi, negoziare l’entrata in coalizione, una volta annusata l’aria? Certamente. Cosa lo ha frenato dal chiedere contropartite? Ad esempio, sul debito italiano detenuto da investitori istituzionali, così ferocemente appartenenti alla coalizione anti-Putin? Non avrebbe potuto, forse, ottenere qualcosa, utilizzando il noto prestigio acquisito? Avrebbe potuto dire: “Volete che io sacrifichi le imprese e i cittadini italiani in una guerra che ci toglie il gas? Cosa mi offrite in cambio? Cosa ci date?”. Era un discorso così assurdo? Perché invece fare prontamente lo scendiletto? Ovvio che il meglio che un vero premier dovrebbe offrire agli italiani non è stato finora neanche menzionato. In quanto sarebbe stato, guarda caso, puntare con chiarezza a tenersi le “mani libere”. A essere cioè capace, come ha fatto Recep Tayyip Erdoğan, di far parte dei “non allineati”. Ad esempio, negoziando sui due tavoli, contemporaneamente. Proprio come probabilmente avrebbe fatto quel mostro di Mussolini, per cercare di ottenere da entrambe le parti dei vantaggi per il nostro Paese. Il vantaggio della “non belligeranza”. Tanto più che i belligeranti occidentali, oggi, non solo attaccano la Russia, ma anche la Cina. E non trattano separatamente con loro, come vorrebbe un codice non scritto della politica internazionale, ma lasciano che i due nemici dell’Occidente si alleino. Questi governanti occidentali sono proprio loro gli strateghi della morte dell’Occidente.

Ecco dunque che, sempre più, l’abbraccio mortale si staglia all’orizzonte. Esattamente come quello che Mussolini diede a Hitler. Con una differenza: per alcune circostanze storiche il mostro, condannato dalla storia, Benito Mussolini, ebbe – come abbiamo visto – qualche attenuante. È nell’abbraccio mortale con l’uomo malato di Alzheimer che attenuanti davvero non se ne trovano. Draghi le mani in fondo ce le aveva libere e tutto deponeva a questo. Dunque, la guerra poteva essere virata a suo, e nostro, favore. Le scelte che ha fatto condannano, senza appelli, Mario Draghi e tutta la classe dirigente italiana. Anche più di quanto fu da condannare Benito Mussolini.

Aggiornato il 23 agosto 2022 alle ore 11:30