Conte e CalenZi tra la tigre d’Oriente e l’orso siberiano

A Roma e a Milano sono andate in scena le due piazze della sinistra italiana, che a guardare bene non lottano per la pace ma per sbranare il Partito Democratico. Da un lato quella della Capitale, movimentista, arcobaleno, sindacale, un po’ sessantottina, pseudo-rivoluzionaria, del Movimento Cinque Stelle guidata da un reinventato capopopolo Giuseppe Conte, che avendo compreso la grave crisi di identità che investe il Pd, crede di poterne assorbire l’ala massimalista, con l’aiuto anche di Massimo D’Alema e di quanti vorrebbero un ritorno del vecchio Partito Comunista tinteggiato di giallo, ancorato al “marxismo con caratteristiche cinesi” di Xi Jinping.

Dall’altro quella di Milano, orchestrata dalla volpe toscana che risponde al nome di Matteo Renzi e guidata da un ciarliero Carlo Calenda, che dice di voler conciliare liberalismo e socialismo, e che fondamentalmente ha lo stesso obiettivo dei Cinque Stelle: smembrare il Pd per accaparrarsi però gli elettori centristi e riformisti e che voterà un ulteriore invio di armi insieme al centrodestra e probabilmente allo stesso partito democratico. Ambedue le compagini hanno scelto come tema la pace tra Ucraina e Russia. Un tema rilevatore, perché a parte le vaghe, demagogiche e irrealistiche proposte, che di seguito analizzerò, sono già pronte a scendere di nuovo in piazza separate, appena il Governo avrà un minimo calo di consenso rilevato dai sondaggi nella speranza di dividersi i resti del partito guidato da Enrico Letta né nome della lotta alla destra.

Ma andiamo al sodo. Fondamentalmente, cosa dice Conte per fermare la guerra? Non diamo più armi all’Ucraina, nonostante anche i Cinque Stelle abbiano votato per armarla. Così la Russia, aggiungo io, distrugge la residua resistenza e a Kiev insedia un Governo filo-moscovita di persone “per bene”, come qualcuno dal centrodestra ripetutamente ha riferito delle intenzioni del presidente Vladimir Putin, per poi trattare un qualche accordo per noi, come gas e altro. E pochissime concessioni ovviamente per gli ucraini, che diventerebbero parte della Federazione Russa di fatto come al tempo dell’Unione Sovietica di Stalin.

Cosa invece propone CalenZi (la fusione di Calenda e Renzi)? Continuiamo a dare armi sempre più letali e costose a Volodymyr Zelensky fino a quando l’Armata russa non sarà distrutta o esausta e/o a Mosca non avvenga un sovvertimento dell’attuale assetto di potere con l’insediamento di un altro presidente con il quale negoziare il ritiro dai territori occupati illegittimamente, ammesso che ciò sia possibile, ed altre più succulenti accordi. Nel contempo stringiamo la cinghia un altro po’ come italiani nell’attesa che qualcosa succeda. In tutti e due i casi, non si capisce chi sarebbe il mediatore se l’Unione Europea, gli Stati Uniti o la Cina.

Rilevo, però, che da tutte e due le piazze non è emersa la proposta che potrebbe farci arrivare a una tregua se non a una pace concreta, quella di intavolare realmente una trattativa tra i due belligeranti, però sostenuta dall’Onu e dalle vere potenze internazionali: gli Usa e la Cina. Purtroppo, in tutta questa vicenda manca l’Unione Europea, ridotta a vessillo sbrindellato di un acritico “atlantismo”, in qualche caso persino solo di facciata, incapace di imporsi come interlocutore credibile con e tra le parti in causa, vittima degli egoismi nazionali.

L’Europa sconta anni di ritardi nel processo di integrazione politica, deficit di leadership unificanti, assenza di politica di difesa comune e quel che è peggio vive nella speranza che a salvarla arriva sempre, lo è stato nella Prima e nella Seconda guerra mondiale, il settimo cavalleggeri statunitense, pensando poi di poter partecipare alla spartizione delle armi di Achille. E i governi nazionali cosa potrebbero fare? Arrivati a questo punto singolarmente poco o quasi, un esempio ne è la Turchia, che sebbene abbia ottenuto qualche striminzito e parziale risultato (meglio di niente però), nella sostanza non è riuscita nemmeno a negoziare una tregua di qualche settimana. Poi il Governo italiano, con tutti i problemi economici che deve affrontare e gli impegni presi dal precedente Mario Draghi e i deficit di bilancio, che saranno avallati dagli uffici di Bruxelles, non penso che abbia margini di manovra se non quello, quasi obbligato, come infatti ha fatto Giorgia Meloni, di dichiararsi fedele alla Nato e di rendersi disponibile per bocca del ministro Guido Crosetto a un prossimo pacchetto di aiuti per l’Ucraina.

E allora? Dal Vaticano ci invitano, ovviamente e nonostante gli sforzi della loro diplomazia, a pregare, perché il buonsenso prevalga, e dagli Stati Uniti ad aspettare, perché parte dell’opinione pubblica d’Oltreoceano comincia a risentire della crisi monetaria, finanziaria ed economica globale innescata sia dalla gestione cinese del Covid, che continua a bloccare parte della produzione mondiale di beni essenziali per una economia globalizzata come quella attuale, che dalla guerra. Quindi, se le imminenti elezioni di “midterm” volgessero a favore dei Repubblicani, e a beneficio di quella parte che tra loro vuole un allentamento degli aiuti militari all’Ucraina come il leader alla Camera, il deputato della California, Kevin McCarthy, che ha affermato: “Penso che gli americani dovranno affrontare una recessione e non avranno più intenzione di firmare assegni in bianco all’Ucraina. L’Ucraina è importante, ma non può essere l’unica cosa di cui ci occupiamo”. Allora si potrebbero innescare le condizioni favorevoli per una risoluzione diplomatica del conflitto.

In tutto questo, alla fine della fiera sembra che abbia avuto ragione Scott Sumner, docente di Politica monetaria presso il Mercatus Center della George Mason University, professore emerito alla Bentley University e ricercatore presso l’Independent Institute, considerato dalla rivista Foreign Policy nel 2012 come uno dei “100 migliori pensatori globali” per la precisione il quindicesimo, i cui articoli escono su riviste importanti tra cui Journal of Political Economy, Economic Inquiry e Journal of Money, Credit, and Banking, quando criticava la politica trumpiana di scontro commerciale con la Cina, che ha raffreddato i rapporti politici tra le rispettive Amministrazioni. Con il risultato oggi di avere gettato la grande tigre asiatica tra le braccia dell’autocrazia post-sovietica russa, rafforzandone i rapporti politici e gli scambi economici. Un vero suicidio geopolitico, figlio di pressapochismo, faciloneria e confusione tant’è che lo stesso Sumner scriveva “gli Stati Uniti hanno affermato di volere che la Cina diventasse un’economia di mercato più libera, ma poi hanno chiesto al loro governo di intervenire e gestire il commercio con gli Stati Uniti, impegnandosi ad acquistare una maggiore quantità di prodotti agricoli statunitensi. Questo è l’opposto del libero scambio”. È vero che abbiamo come Occidente lasciato che la Russia si lanciasse in braccio alla Cina, ma è altrettanto vero che abbiamo fatto sì che la grande tigre d’Oriente si stringesse ancora di più all’orso siberiano.

Oggi non si può pensare alla fine della guerra senza negoziare con la Cina un nuovo rapporto commerciale che renda per loro più conveniente discutere sul piano economico, perché è quello che a loro interessa fortemente più di quello militare, con noi piuttosto che avallare le aspirazioni imperialiste di una Russia che, sebbene abbia un arsenale militare terribile sul piano distruttivo, ha un Pil e una economia molto ridotta poco appetibile per i giganti dell’industria con gli occhi a mandorla. Scendere in piazza, per la vittoria (CalenZi) o per la resa dell’Ucraina (Conte): scegliete voi la parte che più vi aggrada, non serve a nulla se non ai rispettivi “quasi leader” a posizionarsi per sbranare la carcassa elettorale del Pd.

Invece, oggi, sarebbe più utile spingere con realismo e consisterebbe in questo il compito della politica estera del Governo Meloni unitamente agli altri Stati europei, perché si arrivi almeno a una tregua, prima che sia troppo tardi e prima che tra le autodistruttesi Sparta (la Federazione Russa) ed Atene (l’Occidente) giunga a fare mambassa la Macedonia di Filippo (la Repubblica Popolare cinese di Xi Jinping) più che discutere delle piazze di Conte e CalenZi.

Aggiornato il 07 novembre 2022 alle ore 13:07