Migranti e conti pubblici: un asse Roma-Londra?

La premier Giorgia Meloni si è recata a Londra, dove ha incontrato il primo ministro britannico, Rishi Sunak. Entrambi i leader si sono detti profondamente soddisfatti del vertice, il quale si è concluso con un memorandum di quindici pagine, col quale i due governi si sono impegnati a rafforzare la cooperazione in ambito economico, militare e sul tema delle migrazioni, che pare sia stata la vera “anima” del lungo incontro tra i due premier.

A questo proposito, interrogata sulla politica inglese di deportazione in Ruanda dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo in attesa degli accertamenti sul loro status, Meloni ha semplicemente risposto di approvare questa linea. Consapevole che ciò avrebbe potuto – come in effetti è avvenuto – suscitare il solito vespaio di polemiche, la premier italiana ha precisato che è evidente che non si possono accogliere tutti quelli che arrivano illegalmente o della cui situazione giuridica non si è certi: vanno cercate delle soluzioni. Il riferimento era probabilmente all’Italia più che al Regno Unito. Ovviamente, ha proseguito Meloni, si devono rispettare i diritti di tutti e si deve offrire il sostentamento economico necessario: se questo avviene, conclude lapidaria la premier, dove starebbero le violazioni o la disumanità che vengono contestate? Si dice che il Ruanda, come molti altri Stati africani, Libia inclusa, sarebbero Paesi inadeguati e questo solo in quanto africani: che detto da chi non fa che parlare di antirazzismo e di riscatto del Terzo Mondo suona quantomeno ipocrita e contraddittorio.

Meloni ha infatti dichiarato che la linea del Governo inglese di spostare i migranti dal territorio nazionale in attesa di verifiche sul loro status potrebbe funzionare anche altrove: da tempo l’Italia si sta impegnando in sede europea per l’apertura di hotspot direttamente in Nord-Africa, da dove si potrebbe valutare chi ha diritto di venire a stare in Europa (e che lo farebbe in tutta legalità e sicurezza, evitando così di rischiare di morire in mare) e chi invece non ha diritto di essere accolto e che per la sicurezza dei cittadini europei e per la stabilità del sistema socio-economico è bene che resti dove si trova.

Grande soddisfazione anche sul fronte economico: pare che Sunak abbia elogiato la politica di Roma sulla gestione dei conti, in quanto capace di stabilizzare l’Italia e di dare certezze ai mercati. A ciò Meloni risponde soddisfatta che i fondamentali italiani vanno meglio di molte altre nazioni europee, considerate migliori e più responsabili. Una evidente punzecchiata a Bruxelles che continua a insistere, perché Roma ratifichi il Meccanismo europeo di stabilità e acconsenta alla riforma del Patto di stabilità, che dice Meloni è sì un passo avanti, ma ancora non tiene conto della proposta italiana di scorporare le spese strategiche (transizione verde, sostegno all’Ucraina, digitalizzazione e infrastrutture prime fra tutte) dal rapporto deficit-Pil. Forte intesa tra i due leader anche sul tema della difesa: Italia e Gran Bretagna rafforzeranno la cooperazione su strategia e armamenti, senza dimenticare la linea filo-ucraina ribadita da entrambi i capi di Governo.

Dalle colonne di alcune testate si è additata la “missione londinese” della premier come una sostanziale perdita di tempo (oltre che “terremotata” dalla mancanza dei numeri in Parlamento per l’approvazione dello scostamento di bilancio da 3,5 miliardi): a che serve andare a Londra a cercare alleati per immigrazione e governance economica, se tanto l’Italia deve ottenere sempre e comunque il placet di Bruxelles? È ovvio che la visita di Meloni a Londra abbia avuto l’obiettivo di cercare una sponda col Regno Unito su questioni di importanza cruciale per il Paese, ma la strategia della premier è tutt’altro che fallimentare, almeno in linea di principio. Un asse tra Roma, Londra e Washington (quest’ultimo stabilitosi grazie al fervente atlantismo della premier) potrebbe aumentare notevolmente il peso dell’Italia in sede europea. Del resto, non si capisce per quale motivo bisognerebbe continuare a cercare una sponda coi francesi e coi tedeschi che, seppur membri dell’Unione, continuano imperterriti a pensare ai propri interessi, che troppo spesso vanno a discapito dei nostri e che si ostinano a non recepire qualsiasi richiesta provenga dall’Italia? Il tempo del Belpaese debole, remissiva e perennemente in ginocchio dinanzi a Parigi e Berlino, è finito: quello dell’Italia forte e che può contare sul sostegno di alleati ben più “pesanti” di Francia e Germania sta iniziando.

Sull’immigrazione, in particolare, se l’Europa continuerà a fare orecchie da mercante e a limitarsi alla solidarietà a parole o alle pacche sulle spalle, a quel punto l’Italia non potrà fare a meno di procedere autonomamente, se non vorrà morire di immigrazione e se non vorrà veder mutare la propria composizione sociale (non parliamo di “sostituzione etnica” sennò Elly Schlein si arrabbia e inizia a parlare del Ku Klux Klan). Per fare una cosa del genere, avrà bisogno di alleati forti che, all’occorrenza, possano fare pressioni su Bruxelles, perché non metta troppo i bastoni tra le ruote a Roma.

Ben venga, quindi, l’intesa raggiunta con Londra: nella speranza che il Governo italiano possa ispirarsi alle politiche di Downing Street per venire a capo di problematiche complesse, che si trascinano da decisamente troppo tempo. Chi deve intendere intenda.

Aggiornato il 02 maggio 2023 alle ore 10:39