Per un’Italia bella e utile

A vent’anni di distanza dall’uscita nelle sale in Italia de La meglio gioventù, film di Marco Tullio Giordana, il dialogo disarmante tra il professore di medicina interpretato da Mario Schiano e l’allievo da Luigi Lo Cascio, in cui il primo consigliava al secondo di abbandonare quell’Italia, bella ma inutile, immobile e gestita da dinosauri che l’unica prospettiva che hanno è quella dell’autoconservazione, sembra l’emblema di quello che è avvenuto nel ventennio che ne è seguito. Purtroppo si conferma in parte l’inconsistenza sul piano internazionale della Repubblica italiana, visto il tragicomico risultato in occasione della votazione per Expo 2030 in cui l’Italia si è classificata solo terza con appena 17 voti favorevoli. Non hanno espresso parere favorevole nemmeno alcuni di quei Paesi oggetto di visita della presidente del Consiglio da cui tornava “molto soddisfatta”: Tunisia e Albania per primi.

Va chiarito che in questo caso il pessimo risultato non può essere addossato solo all’attuale Governo di centrodestra, che comunque ha le sue responsabilità date dalla scarsa capacità di costruire alleanze efficaci, ma è il risultato di vent’anni e più di declino culturale, economico e sociale e da una gestione quantomeno controversa di Roma Capitale, grazie alle sindacature del Pd, Roberto Gualtieri è solo l’ultimo in ordine di tempo, e della parentesi di Virginia Raggi del Movimento 5 stelle. Intanto, in questo lasso di tempo hanno governato praticamente tutti dal centrodestra al centrosinistra, dai Cinquestelle e ai Fratelli d’Italia. Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte, Mario Draghi e in ultima Giorgia Meloni sono i presidenti del Consiglio dei ministri che si sono succeduti alla guida di questa barca con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: mercato del lavoro ingessato, servizi essenziali come la sanità e la scuola in affanno, debito pubblico alle stelle, arretratezza digitale, poca propensione all’innovazione, riforme importanti lasciate ai posteri e credibilità internazionale in calo costante. Ma quali le cause di questo disastro?

Sicuramente la fine ingloriosa della Prima Repubblica è una di queste. Avere spazzato via i partiti protagonisti della rinascita del Paese dopo il disastro della Seconda guerra mondiale e quasi tutto il ceto dirigente, a parte quello dell’ex Partito comunista, che ne aveva diretto le sorti è stata una sciagura e una perdita di competenze sul piano politico, economico e diplomatico, che continuiamo a pagare ancora oggi. L’arrivo al Governo di una serie di improvvisatori dall’arguzia facile e dalla scarsa preparazione è un’altra concausa di questo stato di cose: infatti le battute sono passate e i problemi sono rimasti, anzi si sono aggravati. La scomparsa di capi d’azienda aperti alle novità, rampanti e spregiudicati, come il compianto Raul Gardini, ha prodotto poi un progressivo impoverimento della proverbiale capacità degli italiani ad essere leader dell’industria anche senza avere le immense risorse naturali di altri Paesi come la Germania.

Inoltre non avere liberato le università dal “baronato” con la conseguenza che i nostri più brillanti laureati sono stati costretti ad andare, come i nonni, a cercare fortuna all’estero ha causato il peggioramento dell’offerta formativa da un lato e di quella della ricerca scientifica dall’altro. Non avere investito adeguatamente sulla scuola in termini di merito, nonostante un corpo docente di tutto rispetto, ha fatto il resto. Intanto nel mondo sono cresciute altre realtà come quella dell’Arabia Saudita che, con tutte le criticità immaginabili legate ad una cultura tribale impregnata di un islamismo intransigente, ci ha strappato il primato nella gara per l’Expo 2030 e Riad ha superato Roma come sede della manifestazione. Non è solo una questione di petroldollari, c’è altro: una visione del proprio futuro nel mondo e la capacità del principe Mohammed bin Salman di saperla interpretare. Un processo di occidentalizzazione iniziato da tempo, che è passato per l’importazione del calcio e delle sue stelle migliori, come Lionel Messi, e che raggiungerà il suo culmine con l’evento dell’esposizione internazionale, dove saranno mostrate le potenzialità di sviluppo pensate dalla monarchia saudita.

In questo clima di apertura i sovrani arabi avevano persino profilato la possibilità storica di riconoscere lo stato d’Israele con gli accordi di Abramo, che le forze retrive legate ad Hamas con l’attentato dello scorso 7 ottobre hanno solo, speriamo, momentaneamente ritardato. Più che un “Rinascimento”, come qualcuno sostiene, quello saudita è un vero e proprio “nascimento”, la fine del loro secolare medioevo e l’ingresso ineluttabile nella modernità, anche lì con tutte le criticità del caso. Adesso il problema italiano, non è più quello solo di “conservare” qualcosa del proprio glorioso passato, ma quello di affermare il proprio ruolo nella scienza, nelle arti da quelle figurative e quelle architettoniche nel mondo. Lo si potrà fare solo abbandonando quella rancorosa e invidiosa propensione all’autocommiserazione, disinnescando la trappola dei facili populismi di destra e di sinistra. Anche le smanie giovanilistiche andrebbero lasciate cadere perché hanno pregiudicato la conservazione di ciò che era buono, pensando che potessero esserci delle scorciatoie demagogiche al successo e alla realizzazione delle promesse, assurde e impossibili, che via via si profilavano nella gara a chi le sparava più grosse. Gli italiani a questo punto individualmente hanno poche alternative se non quella di abbandonare al loro destino gli imbonitori che in tutte le latitudini politiche e in tutte le epoche sono sempre operanti e rimettere in moto quella creatività essenziale alla scienza, all’arte e alla conoscenza così da affrontare il presente con rinnovato genio concreto, liberando tutte le energie positive di cui sono dotati per costruire un’Italia bella ed utile.

Aggiornato il 12 dicembre 2023 alle ore 10:30