Paralipomeni della narrazione climatica

Partiamo dalle presunte conseguenze e “rimedi”. Perché se ci infiliamo nel dibattito su Co2 e Gw (post hoc ergo propter hoc!) allora ci ritroviamo a confrontarci con il poco scientifico metodo del (presunto) e incontestabile consenso del 99,9 per cento degli scienziati. Categoria in cui non possono rientrare studiosi e ricercatori dissenzienti. Quello dei climatologi è un clan “for invitation only”: se non si supera l’autodafé climantropico non si è ammessi.

È utopistico progettare di decarbonizzare il pianeta attraverso la sostituzione delle fonti fossili con energie rinnovabili che richiedono, comunque, l’accoppiamento con impianti tradizionali per sopperire ai momenti in cui non c’è sole o vento. C’è poi l’impatto ambientale (quello sì catastrofico e sorvoliamo su quello paesaggistico) dell’intero ciclo della transizione elettrica, dalla estrazione dei minerali (nickel peggio del litio) al complicatissimo smaltimento. Con qualche trilione di dollari già spesi nella transizione verde, le energie rinnovabili coprono appena il 3 per cento del fabbisogno mondiale.

Neppure il nucleare potrebbe soppiantare, a livello globale, carbone, olio e gas, a causa dei suoi enormi costi, inaccessibili alla parte meno sviluppata del pianeta. Costringere i 2/3 dell’umanità a rinunciare al fossile significherebbe pregiudicarne gravemente lo sviluppo. I climatologi diventano anche sociologi, economisti e politologi quando associano ai loro fragili modelli previsionali anche scenari di fallimenti economici, impoverimenti continentali, fame, epidemie, carestie, sommovimenti e migrazioni di massa e altre piaghe bibliche, causati dall’aumento delle temperature e collegate sciagure (anche se oggi a bassa voce ammettono che l’estinzione umana sia una iperbole per tenere alto il livello di allarme). E come antidoto propongono il cambiamento dei nostri modelli di sviluppo, auspicano politiche redistributive e condizionamenti delle nostre scelte alimentari, di abbigliamento, abitative e di spostamento. La colpa è del libero mercato, delle nostre scelte consumistiche e dei nostri stili di vita: il rimedio è la “decrescita felice e la giustizia sociale”. Insomma, “green is the new red”. E, come ironizzava Indro Montanelli, i comunisti hanno così tanto a cuore i poveri che, quando vanno al potere, ne aumentano sempre di numero.

Aggiornato il 15 gennaio 2024 alle ore 17:37