E se avesse ragione lui?

L’altra sera a Prima di Domani – perdonate lo scioglilingua, il nome infelice del programma sembra un po’ una barzelletta – Carlo Calenda ha finalmente risposto alle accuse. Che accuse? Quelle mosse da molti – a destra, a sinistra, al centro, praticamente in qualsiasi regione dello spazio politico e cardinale – ossia di non avere un’appartenenza politica. In particolare, un Calenda in gran forma, visibilmente dimagrito – senza voler fare della cosa un body shaming e nemmeno body positivity, anche se vanno di moda – ha risposto per le rime al conduttore televisivo della TvLoft di Marco Travaglio, e giornalista del Fatto, Luca Sommi, il quale l’ha presa a ridere però ha incassato visibilmente il rintuzzo.

Ma vediamo cosa è successo. Nel nuovissimo e bellissimo studio – diamone atto – del programma di Bianca Berlinguer, partito non benissimo negli ascolti e non senza polemiche – anche per qualche fuorionda rivelatore di una certa insofferenza della conduttrice nei confronti dei collaboratori del programma – è andato in scena un godibilissimo Carletto’s show. Navigato come un politico di razza, l’ex ministro ne ha avute per tutti. Ha fatto persino la ruota del pavone sulla “sua” Ilva di Taranto, dove – ha detto – “ha lasciato il cuore”. E di cui ha spiegato alcuni retroscena interessanti, sul perché quella fabbrica monstre sia stata messa lì e la raffineria petrolifera sull’altro lato del golfo: erano altri tempi, c’erano altre necessità, in primis portare lavoro. Oggi sarebbe impensabile.

Ma torniamo al punto: secondo Calenda, il suo partito alle elezioni è andato bene, solo su Roma ha preso il 20 per cento. Riassumendo, Azione è un partito che si può vantare di votare anche le proposte degli avversari, perché valuta quello che è meglio per l’Italia e gli italiani. E forse non ha ancora compreso che è proprio questo di cui gli altri partiti incancreniti hanno paura: fare davvero qualcosa, fare qualcosa di buono, fare gli interessi della nazione e non quelli di partito. Se veramente si facesse questo – senza dimenticare che anche l’idea grillina, sebbene esponenzialmente più barricadera, era questa. Ed era partita come alternativa alla casta consolidata dei potentati. Compresi i sindacati che, di recente, sono risorti dalle loro ceneri dopo che il suo ex alleato Matteo Renzi era riuscito a renderli del tutto ininfluenti – gli farebbero una guerra senza risparmio di colpi bassi, infima e allo stesso gloriosa. Al grido di “a chi appartieni tu?”. Appartenenza: quella cosa che in Italia non si riesce a superare nemmeno per fare le cose che servono, le cose giuste.

E quindi arriva in collegamento, leggiadra, Francesca Barra, che sostiene di aver letto l’ultima fatica letteraria di Carlo, ora in edicola: Il Patto. Oltre il trentennio perduto. Insomma, ha svolto i compiti per fargli due domandine leggere-leggere. L’altro ospite, sempre in collegamento, Roberto Poletti, seppur polemico, un piccolo corteggiamento di apertura a collaborazioni l’ha fatto. Un invito ad andare a bussare, quantomeno. Ma non è chiaro se il leader di Azione l’abbia compreso o elegantemente snobbato. In ogni caso ha glissato. Eppure, quanto ancora dovrà attendere Azione per fare quello che sarebbe giusto per la nazione? Quando finirà questa contrapposizione obsoleta tra destra e sinistra. E si guarderà, invece, ai programmi dei partiti liberi da ideologie?

Vorrebbe imitare il percorso di Giorgia Meloni, della quale Calenda apprezza la perseveranza di chi ha fatto scelte difficili e lente, andando anche all’opposizione del Governo Draghi. Mossa che indubbiamente l’ha premiata alle urne. Prossimo capitolo di questa appassionante saga alla ricerca dell’identità: Calenda e la pazienza del ragno.

Aggiornato il 17 gennaio 2024 alle ore 17:51