L’Antimafia Montante

Tra i professionisti della lotta alle cosche mafiose dai comportamenti un bel po’ disinvolti - e finiti nel mirino della Procura di Palermo insieme all’ex dirigente locale della Confindustria, Antonio Calogero Montante, già paladino teorico della lotta in questione – ci sarebbero anche i nomi di fior fiori di giornalisti “antimafia”. Gente che lavora in “giornaloni” come “L’Espresso” o “Il Sole 24 Ore” o in quotidiani di assalto come “Il Fatto Quotidiano”. Alcuni hanno già avuto guai disciplinari con l’Ordine dei giornalisti della Sicilia, altri stanno aspettando che si definiscano meglio i contorni di quest’oscura vicenda. Che aggiunge il tassello che mancava a questa antimafia militante che, in certi casi, sembra non avere comportamenti molto dissimili da quelli del fenomeno che asseritamente dice di voler combattere.

Tutto contenuto nell’informativa di polizia giudiziaria relativa al caso Montante e presupposto del suo arresto dal titolo “Rapporti del Montante Antonio Calogero con i giornalisti” e contenuta nel capitolo tredicesimo di suddetto documento. E tutto già on-line anche sul sito site.it da dove si può agevolmente scaricare. L’introduzione delle 63 pagine di questo capitolo è già tutto un programma: “Le dichiarazioni del Venturi Marco hanno riguardato anche i rapporti ‘distorti’ che il Montante ha intrattenuto con alcuni giornalisti per carpirne la benevolenza nelle cronache. Ancora una volta le propalazioni del Venturi trovavano riscontro in materiale rinvenuto nel corso delle perquisizioni ed anche nelle attività di intercettazione a suo carico nonché in altre dichiarazioni rese da altri soggetti escussi nell’ambito del presente procedimento. Filo conduttore della condotta del Montante è il fastidio di quest’ultimo nei confronti di giornalisti che si mostravano critici nei suoi confronti o in quelli di soggetti a lui vicini, nonché nei confronti dell’operato di Confindustria. Prima di entrare nel merito della trattazione di questo capitolo, appare importante premettere che alcune delle condotte dei giornalisti di cui si riferirà contravvengono anzitutto, essendo tutti iscritti all’Ordine dei Giornalisti, agli obblighi sanciti dalla ‘Carta dei doveri del giornalista’ dell’8 luglio 1993. La Carta, infatti, prevede l’incompatibilità per il giornalista di ricevere pagamenti, rimborsi spese, elargizioni, vacanze gratuite, trasferte, inviti a viaggi, facilitazioni o prebende, da privati o da enti pubblici, che possano condizionare il suo lavoro e l’attività redazionale o ledere la sua credibilità e dignità professionale.

Poi vengono fatti i nomi e vengono elencate le circostanze che includono il finanziamento a un sito di giornalismo gestito da due di loro, aperto e subito dopo chiuso a cavallo tra ottobre 2014 e febbraio 2015, e l’assunzione della figlia di un altro giornalista come consulente. Circostanze tutte da verificare, per carità, ma che danno la pallida idea degli affari che in ogni settore dello scibile umano proliferano nelle zone calde della penisola assillate da una parte e atavicamente dalla mafia e dall’altra, da una ventina di anni a questa parte, dai metodi di certa antimafia. Una comoda etichetta che può servire per fare carriera nei giornali, nella Pubblica amministrazione e persino in Confindustria. Ma anche un “brand” che in certi casi può diventare assai sospetto – ancorché strombazzato mediaticamente – con l’inevitabile conseguenza di inaspettati redde rationem.

Aggiornato il 30 maggio 2018 alle ore 13:14