Portobello: il pappagallo è vivo ma il format è morto

Nuovo millennio e vecchi programmi tv, arsenico e vecchi merletti, Portobello 2018 e Antonella Clerici prima puntata: pensavamo che la fantasia nella tv di Stato fosse solo in coma, o stordita dall’avvento della pay-tv, delle emittenti in streaming, della tv on-demand e invece è ufficialmente morta. Defunta, kaput.

Portobello è il programma cult di fine anni Settanta che tutti associamo a Enzo Tortora e a quella televisione garbata delle “signorine buonasera”, delle centraliniste che rispondono alle telefonate da casa, delle vallette, del bianco e nero, del mercatino, del mitico pappagallo che non parla manco ammazzato ma che quando morì, povera bestiola, ci fecero addirittura un pezzo al telegiornale. Eppure, quarant’anni dopo, ben quattro milioni di connazionali hanno guardato la nuova edizione (nuova? mah) condotta da Antonella Clerici con un 20,17 per cento di share.

Non riapriamo la querelle sull’a chi viene consegnato il box Auditel e come costui venga selezionato che è meglio (anche se, con il massimo rispetto, per curiosità statistica professionale li vorrei vedere questi quattro milioni di spettatori e capire a che punto sono sprofondati nel sonno). Ma, soprattutto, sarebbe da capire, una volta per tutte, che quasi nessuno guarda più il varietà il sabato sera e che se si guarda Rai uno è perché non c’è nient’altro in giro.

Sempre che Portobello possa essere considerato un varietà, visto che il format originale è un “proto Chi l’ha Visto”, un proto Stranamore”, un “proto Carramba”... un proto del proto del proto di molti programmi tivù venuti dopo.

Ma partiamo dalla sigla: bambini che cantano. Come i gattini e i cagnolini, sono carini e coccolosi a prescindere e quindi ogni nonna del globo si ferma almeno il tempo della canzoncina d’inizio. E pure io, che di buonumore almeno non si muore ma purtroppo di noia sì. D’obbligo il breve accenno all’inventore del programma ma, vista l’allucinante vicenda giudiziaria di cui è stato suo malgrado protagonista Enzo Tortora, forse, nell’arco della serata lo spazio per almeno un breve approfondimento di taglio giornalistico si sarebbe dovuto trovare in un programma che necessita di mesi di preparazione redazionale.

A un certo punto poi, come per magia, le cabine si tingono di rosa shocking, forse per svegliarci di botto dalla lentezza disumana dei dialoghi e dei collegamenti e sembra di essere catapultati nella casa di “Barbie Maitresse” ad Amsterdam: paranormale, molto più dei tre giovanotti acchiappafantasmi, che non si è proprio capito che ci stessero a fare.

L’accoppiata luci colorate-pavimento riflettente ricordava vagamente l’Autogrill Tevere Ovest, uno dei miei preferiti (molto fashion, c’è anche il cinguettio degli uccellini in sottofondo), ma la scenografia eccezionalmente telegenica, la regia impeccabile - im-pec-ca-bi-le - per tutta la durata e la conduzione dell’Antonella, che era anche bellissima, sono le uniche attrazioni del tutto.

Apprezzabile lo show di Carlo Verdone, che da solo, si sa, riempie lo schermo; incomprensibile la scelta per la rubrica “Fiori d’arancio” del trentunenne sardo che non ha mai dato un bacio: bastava guardarlo per capire perché. E forse si poteva evitare. Quindi, dopo tre ore – infinite – di polpettone nazionalpopolare, amici e parenti ritrovati, parrucchieri in piazza, caricature napoleoniche e compravendite di risciò spacciati per passeggini (nell’era delle applicazioni per smartphone in Rai fanno il mercatino dell’usato al telefono, qualcuno li aiuti) arriva il polpettone vero: il cazzomarro. Con quella “pruderie” maliziosa delle massaie lucane e pugliesi si disquisisce, in un tripudio di doppi sensi per imbranati cronici, sulle misure del cazzomarro: un gustoso ma indigeribile rollè di frattaglie ovine.

Portobello, appunto. Però, altro che proteste animaliste: il pappagallo era adorabile.

Aggiornato il 01 novembre 2018 alle ore 11:59