Le regole di casa-Facebook

Sono convinto assertore della libertà di espressione del pensiero e da sempre fautore dell’abolizione dei reati di opinione, ma non sono certo che la cancellazione (o il semplice oscuramento) di alcuni profili da parte di (?) Facebook sia una vera e propria forma di censura. Potrebbe essere molto di più e molto peggio.

Certo, non è piacevole sapere che qualcuno (chi, poi?) si erge a giudice della correttezza dei giudizi espressi, arbiter incontrollato del bene e del male. Il fatto, poi, che questo qualcuno sia un privato rende la questione ancora più sgradevole. E, tuttavia, se ci fermiamo a pensare, scopriamo che, tradizionalmente, il vero nemico della libertà non è il (non identifi-cato, -cabile) controllore di Facebook, ma lo Stato.

Noi abbiamo sempre temuto l’indice pubblico, ontologicamente autoritario, non la policy di una società quotata in Borsa. I tempi, però, sono cambiati e, oggi, dimentichiamo che questa non è casa nostra. Le regole, qui, le fa il padrone di casa, al quale noi non versiamo neppure un centesimo per l’ospitalità ricevuta. La transizione del controllo dei diritti (e del loro progressivo svuotamento) ci impone, oggi, di ripensare anche giuridicamente le nostre rivendicazioni. Qui siamo ospiti: entrando, accettiamo tutto, compresa l’espulsione. È nel contratto.

La post-democrazia è anche questo: la volontaria e preventiva rinuncia ad alcuni diritti che si traduce in cessione di libertà ad un soggetto di cui non sappiamo nulla.

Forse, era meglio protestare contro la commissione paraecclesiale che ci oscurava le tette di Ornella Muti: quella era vincibile, almeno.

Aggiornato il 12 settembre 2019 alle ore 12:23