A scuola, nonostante tutto contro l’invalidità mentale

Sono stata troppo ottimista parlando di riapertura delle scuole nell’ultimo articolo, in cui avevo indicato come cruciale il problema dell’accertamento del buono stato di salute degli alunni. Oltre ad altre regole tecniche sui distanziamenti, sull’uso delle mascherine, ponendo la questione del numero dei docenti. Quindi torno sull’argomento, dicendo però che non cambio l’assunto di fondo. E cioè, che ci potrà essere anche un altro lockdown parziale, a settori, a zone, a scacchiere, ma per consentire agli studenti italiani di ogni ordine e grado di tornare a scuola. Sono stata semplicistica, perché sulla pagina per esempio del giornalista Gianluigi Nuzzi ho letto un elenco di dubbi e contestazioni somma delle tante obiezioni poste da gruppi di genitori, associazioni, opinionisti, commentatori a vario titolo. E li ho letti bene, cercando di sviluppare riflessioni. Però quando mi sono fermata sull’obiezione “non potranno abbracciare il compagno” ho capito che è inutile cercare una logica a tutto. Occorre fare un ragionamento più serio. Questa generazione di adulti si preoccupa tanto e di tutto, ma non dei segnali che vengono dalla scuola da tempo, prima del virus.

Cito un esempio concreto. Questa estate ho incontrato i responsabili di un’associazione ludo-sportiva che su input della Regione, tutto gratis, avevano organizzato ai bordi del lago di Nemi un laboratorio in cui i ragazzi, dagli 8 ai 16 anni, dovevano costruire varie zattere con copertoni di gomme, altri materiali, e poi potevano pagaiare e andare a zonzo nel lago muniti di giubbottini colorati e pagaie. Entusiasta ho subito iscritto i miei nipotini, ma ho ravvisato nel volto della responsabile uno sguardo afflitto. E mi ha spiegato: “Lei è ottimista e la fa facile, ma non sa che sforzo occorre fare per convincere oggi un bambino o un ragazzo a fare la fatica di inventare, costruire, impegnarsi e poi giocare facendo una sorta di sport, cioè movimento”. E mi ha indicato frotte di ragazzini nascosti dietro ai cespugli solo intenti a giocare coi telefonini. Immagino cosa sia a “squola” con la “q”, come diceva Nuzzi nel suo post. Roba da invalidi mentali. Non me la sento di fare un discorso all’indietro, cioè solo su quanto era importante il greco, il latino, la scuola di Giovanni Gentile, le varie riforme fino alle ultime di Luigi Berlinguer e Mariastella Gelmini. Comprendo persino il discorso dei banchi a rotelle monoposto, dove entra a malapena un pc e non pongo neppure la necessità di un riequilibrio culturale al posto della scuola faziosa.

Che sia la scuola solo dei nipotini di Palmiro Togliatti, della generazione omo-lesbo Elly Schlein o delle femministe che cercheranno di formare ultras “antifa” come vuole Laura Boldrini, non importa. Purché si studi. Perché si può avere la fortuna di studiare con programmi perfetti o ideali, autori veri e importanti, ma si può anche allo stesso modo studiare quello che non si dovrebbe studiare per formare una mente. Perché sui banchi non sono sedute macchine, robottini, individui spersonalizzati o da rendere tali. Ci hanno provato già nei regimi comunisti, in Romania, altrove, con metodi di controllo mentale, ma alla fine – a meno di una totale lobotomia (eliminazione del cervello) e quindi di zombi e comunque non del tutto “controllabili”, ma solo pericolose anime vaghe – è del tutto inutile pensare che la scuola possa formare l’individuo politicamente corretto a seconda dei vari poteri. Anche i gesuiti dicono “di un uomo dateci la sua infanzia e ciò che noi faremo nessuno potrà distruggere”. Molto vero, e qui mi fermo sulla questione chiesa-infanzia. Ma alla fine il processo di apprendimento è tale per cui si sviluppa un contenuto personale, che rivela le attitudini e i talenti di ciascuno di noi.

Infatti la storia dei talenti non è solo quella di giuste scuole e studi, è anche storia di apprendimenti autonomi, rudimentali, indigeni come sappiamo dalle antropologie. Insomma il punto è “l’apprendimento”. Oggi siamo nell’era dell’apprendimenti digitale? Vittorio Colao aveva cercato di portare questo nella zuffa italiana, lo spillover tecnologico sull’onda favorevole del Covid. Alessandro Baricco, sia pure ancora con metodi più antichi, cioè le lectio magistralis sui vecchi autori, indica la stessa strada con il suo “il game è aperto”. Vero, i nostri ragazzi ci indicano nuove piste culturali e nuovi percorsi al di là probabilmente di questo mondo finito che mostriamo loro, ma se non sapranno più salire su un albero e provare la gioia e l’istinto finiranno in quei circuiti algoritmici con l’aiuto delle droghe. Probabilmente chi punta a perseguire controlli sociali da nuovo ordine mondiale cercherà, ora che ha capito che la scuola non si controlla, a sbiadirla, logorarla, eliminarla, usando le varie sciocche e ignoranti tifoserie. Non ci saranno banchi per tutti e per cui a scuola ci andrà chi ci vuole andare. Io termino dicendo che la scuola deve riaprire e per farlo occorrono vere precauzioni e collaborazione seria. Se varranno dubbi come quelli che ho riferito, a scuola andranno pochi fortunati.

 

Aggiornato il 08 settembre 2020 alle ore 16:33