Dissalazione, tra studi e applicazioni

Ringrazio per le vostre osservazioni e replico. Lo studio citato nel mio articolo, redatto da un centro di ricerca canadese collegato all’Onu è noto, come anche sono noti studi più recenti, sempre dell’Onu, che limitano le problematiche dei rilasci di salamoia ai Paesi del Golfo e del Medio Oriente, aree caratterizzate da impianti di elevata potenzialità (migliaia di litri al secondo). Tutti questi studi convengono poi sul fatto che comunque la dissalazione, tramite osmosi inversa, per via anche del cambiamento climatico rappresenta e rappresenterà una risorsa ad impiego crescente. La circostanza, tuttavia, che anche per situazioni neanche lontanamente paragonabili a quelle indicate siano previste autorizzazioni su autorizzazioni (ma non per i dissalatori imbarcati) potrebbe ravvisare l’intento di elevare barriere tecnologiche. Intento oltremodo incomprensibile, alla luce anche della possibilità di ricorrere a misure dimostratisi efficaci, misure studiate ed ampiamente impiegate da quei Paesi che, rispetto all’Italia, hanno da tempo dedicato specie sul piano scientifico forte impegno ed impiego di risorse.

Inoltre, non posso che stupirmi delle considerazioni su un supposto “ingente impiego di risorse pubbliche connesso ai dissalatori fissi”. Rispetto a cosa? Alle bettoline? Se così fosse, studi nazionali (fra questi l’ultima rilevazione di Legambiente) oltre che internazionali, non paiono proprio accreditare una tale congettura. Sarebbe a questo punto interessante conoscere, in termini di costo finale, quale contributo può derivare dal ricorso alla nave dissalatrice proposta rispetto a sistemi avanzati di dissalazione on-shore. In ogni caso, se escludiamo alcuni precedenti in ambito militare, sul piano applicativo la vostra proposta è sicuramente innovativa, ed in questo senso l’invito a visitare la nave, quando possibile, non può che essere ben accolto. Come al solito saranno poi i fatti a stabilire se l’innovazione si accompagnerà anche alla convenienza economica, considerato che per queste forniture non sono né i cittadini né il Comune a pagare direttamente; da sempre siamo tutti noi attraverso la finanza pubblica a dover sborsare i soldi.

Aggiornato il 17 dicembre 2020 alle ore 11:01