“O si è contro la mafia o si è a favore”. Storicamente certi slogan richiamano il Ventennio: o con noi o contro di noi. E poi c’è il pericolo che alcuni interessati ne approfittino per fare dimenticare cosa bolle nel paiolo della magistratura associata ormai da svariati mesi. Infatti, cosa c’è di più facile che auto intestarsi – per il discusso partito dei pm d’assalto – tutte le lotte contro la criminalità organizzata, proponendo le solite ricette emergenziali da Corea del Nord? Per non parlare dei professionisti dell’Antimafia militante – un circo in cui c’è di tutto, anche il crimine – che usano le tragedie e le ricorrenze per auto legittimarsi, cercando di fare dimenticare gli innumerevoli scandali economici degli ultimi tre anni. E che domenica non hanno esitato un secondo a fare propria questa non felicissima uscita del capo dello Stato nelle piazze palermitane.

Ormai le tragiche date come il 23 maggio 1992 e come il 19 luglio di quello stesso maledetto anno non sono soltanto occasioni di ricordare due eroiche figure ma vengono strumentalizzate per mettere a tacere chi ancora reclama leggi da Stato di diritto. Così entrano nel mirino le sentenze costituzionali sul 41 bis e l’ergastolo ostativo e se del caso pure quelle della Corte europea dei diritti dell’uomo. Le piazze sono sobillate, anzi preparate, come nei peggiori talk show e questi sono i risultati: ci teniamo sia la mafia sia l’antimafia che ha distrutto lo Stato di diritto. Trasformando il Paese in un regime autoritario, specie nel pianeta della giustizia penale.

Vengono criminalizzati i referendum sulla giustizia giusta e chi li raccoglie, radicali o salviniani che siano, e si teorizza il dogma secondo cui i pm devono continuare ad agire come meglio credono. Anche se ci sono mille errori giudiziari all’anno che poi l’erario è in parte costretto a riparare. Così ogni 23 maggio e 19 luglio tutti gli scandali vengono dimenticati e ogni dibattito sulla giustizia messo in soffitta fino a nuovo ordine – e quello sulle riforme della giustizia a maggior ragione – nel sacro nome dei magistrati martiri. Come quando nei primi anni dello scorso secolo, per mascherare una qualche gaffe degli attori a teatro, calava pietoso il sipario con annessa scena del coro di “evviva per Trento e Trieste”.

Un tragico martirio di cui da quasi 30 anni si giovano soprattutto gli “influencer”, anche in toga della giustizia giustizialista, sia quelli da copertina sia gli arrivisti senza scrupoli. Così anche le migliori intenzioni rischiano di lastricare le strade di un inferno: quello di un Paese forcaiolo e autoritario obbligato nei secoli dei secoli a subire tanto la mafia quanto la forca di Stato.

Aggiornato il 24 maggio 2021 alle ore 11:12