La buona sanità non fa notizia

Non si possono nascondere le tantissime remore, vere e proprie paure, a scrivere di salute e sanità dopo quello che è successo negli ultimi tre anni. I timori di pazienti e congiunti venivano fortificati dalle migliaia di chat che, sotto pandemia, sconsigliavano i ricoveri per patologie diverse dal Covid-19. Poi si leggeva che l’assistenza sanitaria non può più essere garantita, che chi ha gravi patologie è lasciato al proprio destino, che la sanità pubblica non esiste più per i normali cittadini: questo veniva condensato pure sui social network. Alla gente pareva d’essere ripiombati nell’Alto Medioevo, quando veniva raccomandato di non recarsi in quel villaggio per evitare le streghe o di non prendere quel sentiero per non cadere nelle mani di orchi e mostri e, soprattutto, di non lavarsi per scansare la peste. Così in tanti ci siamo rintanati in casa, con i parenti colpiti da mali diversi dal Covid, confidando chi nella Provvidenza e chi in un multiforme fato. Certo non sono la censura o le grida sanzionatorie contro le “fake news” a migliorare la comunicazione umana, ma il dialogo, il confronto, l’ascolto e, soprattutto l’apertura al mondo e al nostro prossimo: in poche parole, la libertà d’informarsi e di vivere la vita. Certo, il Covid è piovuto in un Paese come l’Italia, dove già da decenni non si leggeva altro che di malasanità, di “viaggi della speranza” e di “medici della mutua” alla Alberto Sordi. Così, alla solita solfa e narrazione si sono aggiunte anche le chat sotto pandemia. Fortunatamente, l’Italia non è solo malasanità: la maggior parte dei medici sono brave persone che fanno il proprio dovere. E non esistono solo i cinici narrati dalle inchieste di giornali e tivù.

Lo so, è inusuale che si parli di buona sanità, ma è importante sottolineare gli esempi di grande impegno, di bontà d’animo e grande senso di responsabilità. Certo, la buona sanità non fa notizia. Al cospetto dell’operato del professor Mauro De Dominicis (direttore del Reparto di Urologia dell’Ospedale Cristo Re di Roma, e degli anestesisti e della validissima équipe), in tanti direbbero “ha fatto solo il proprio dovere”. Eppure, il defatigante lavoro di questi sanitari ha permesso che si concludesse con successo un complicatissimo intervento chirurgico alla prostata d’un paziente di 82 anni, portatore di pacemaker, con diabete alternante e soggetto a continui picchi. I parenti della persona operata sono rimasti commossi dalla professionalità e la competenza, soprattutto dall’empatia e dall’umanità del chirurgo. Dopo quello che hanno letto su chat e social, hanno pensato non fosse la realtà, come se stessero vivendo in un sogno, nella mera immaginazione.

Gli anestesisti e l’équipe hanno coccolato la persona operata come in un bel film a lieto fine della Walt Disney. E i parenti non sapevano cosa dire: sono rimasti ammutoliti. Anche questi comportamenti determinano il buon risultato e fanno parte della chirurgia d’eccellenza italiana: forse sono esempi rari, soprattutto in questo particolare momento storico, connotato non solo dalla pandemia ma anche da un rapporto tra cittadini e istituzioni meno umano e troppo mediato dalla tecnologia. È vero che il rapporto tra cittadini ed istituzioni ha perso umanità, ampliando le difficoltà del vivere quotidiano. Ma non dimentichiamo che la sanità combatte ogni giorno con sale operatorie intasate, terapie intensive riservate a chi ha maggiori possibilità di vita. E tanti altri problemi: sarebbe difficile elencarli tutti in una lettera.

Il signor Mario Impieri, affetto da comorbilità grave, si è sentito male a marzo: da allora è cominciato il suo calvario (costretto a tenere un fastidioso catetere anche durante i viaggi, passando da un ospedale a un Policlinico e poi nuovamente in ospedale). L’incertezza delle cure, che dovrebbero essere garantite alle categorie protette (come in questo caso) aveva determinato nel paziente sconforto e allarme. Sentimenti, questi, molto pericolosi per i soggetti diabetici. La professionalità del professor Mauro De Dominicis e della sua équipe si sono rivelati determinanti per salvare la vita di Mario e offrire un esempio di speranza e conforto a chi nella terza età molto spesso si abbatte, disperando se possa ancora esistere la buona sanità italiana.

Ecco che il Reparto di Urologia dell’Ospedale Cristo Re di Roma ha dimostrato che bisogna aver fiducia nella buona medicina. Questo racconto si spera possa servire ad aprire una crepa nel sentire disfattista, che sta attanagliando troppe persone. È necessario reagire positivamente, curarsi e farsi curare. Bussare umilmente alla porta della speranza non ha mai fatto male a nessuno.

Aggiornato il 06 settembre 2022 alle ore 10:25