La tutela del territorio: semplificare le procedure, progettare lo sviluppo

L’ennesimo evento sismico rimanda ancora una volta a considerazioni riguardanti la manutenzione del territorio e il suo necessario sviluppo, obbligando a una riflessione riguardante la questione della sicurezza in generale e degli insediamenti urbani storici e non solo.

Non è superfluo ricordare che le reti (materiali e immateriali) e le diverse funzioni espresse dal territorio debbono essere interconnesse per essere utili ed efficienti. Reti e nodi di trasporto, quando non funzionano, sono frequentemente causate nella mancanza di collegamenti intermodali, nel loro basso grado d’integrazione con altri sistemi, nella mancanza di strutture logistiche, nell’uso inefficiente di serie alternative modali.

Nella logica del recupero del territorio, e quindi della sua non più rinviabile “manutenzione”, anche il trasporto intermodale, essendo sistema, ha bisogno di un alto e qualificato grado di pianificazione iniziale, di un potente “Centro-propulsivo”, motore primo del coordinamento a tutti i livelli: dal nazionale al regionale e soprattutto locale. Gli attori del processo-intermodale sono innanzitutto il Governo, che deve operare scelte strategiche a carattere nazionale ed internazionale pianificando, attraverso le sue diverse articolazioni, il programma degli interventi sul territorio mediante le linee di finanziamenti delle grandi infrastrutture, prime fra tutte le reti ferroviarie e stradali, i nodi portuali marittimi e aeroportuali; quindi le Regioni, che in una logica non competitiva e concordata dovrebbero attuare piani congruenti con le effettive caratteristiche e potenzialità territoriali, in coerenza con le scelte strategiche assunte dallo Stato, operando decisioni certe, anche se talvolta difficili da assumere più sul piano politico locale che sul piano tecnico.

Nella situazione attuale l’alto numero degli Enti regionali e la conseguente burocrazia presenti sul territorio nazionale sembrano essere talvolta più un ostacolo che non un vantaggio per una corretta pianificazione e attuazione di una razionale infrastrutturazione territoriale. Tanto che non sarebbe da escludere l’ipotesi di modificare il rapporto di scala politico-amministrativo degli Enti territoriali, organizzando talune competenze su sintesi macro-regionali in alcuni casi più corrispondenti alle coerenze culturali, economiche, infrastrutturali e geomorfologiche.

Il Governo del presidente Giorgia Meloni, attraverso i diversi Ministeri a sostegno (Mit con Matteo Salvini e del Sud con Nello Musumeci), crediamo che sappiaia che il compito della pianificazione centralizzata è quello di indirizzare le scelte strategiche su quelle parti del territorio dov’è giusto investire per l’integrazione delle reti, dei nodi di interconnessione infrastrutturale e su quali no.

L’investimento di un importante sistema logistico o di un grande asse trasportistico bimodale ferro/gomma di primaria importanza – quale, ad esempio – potrebbe essere il ponte Reggio/Messina, essendo strategico e finanziariamente molto impegnativo dovrebbe, proprio per le sue caratteristiche di “peso” e di complessità organizzativa, essere rapportato all’interno di sistemi territoriali ad alta coerenza funzionale, prendendo in considerazione il “sistema territoriale reggino” con il “sistema territoriale messinese”, con le diverse aree produttive, infrastrutturali, di capacità organizzativa, finanziaria ed economica.

Ciò vuol dire che la pianificazione (dei trasporti), anche ai fini del “restauro” del territorio, deve interpretare sistemicamente la realtà in evoluzione sullo stesso e non, come spesso accade, limitarsi alla mera osservazione di dati in entrata, più o meno aggiornati, traendo valutazioni parametriche su elementi statistici peraltro non sempre confrontabili. A fronte di una così alta presenza di fattori critici, monomodalità contrapposta alla plurimodalità, sistemi logistici già specializzati e operanti contro sistemi logistici in corso di formazione e/o di creazione, si scontrano come sappiamo interessi locali di mantenimento di posizioni già acquisite e di rendite, di fatto, monopolistiche. Tali problemi, oltre che essere di difficile soluzione, si propongono sempre in netta contrapposizione con quelle scelte che il mercato globale oggi impone di compiere, pena l’esclusione e la marginalizzazione del settore.

In tal senso, quindi, vista la particolare configurazione della Penisola, constatata ad esempio la posizione del macrosistema meridionale nel suo generale contesto geografico, sia terrestre che marittimo jonico-adriatico, giocoforza è da considerare l’infrastrutturazione della rete dei trasporti locali come esigenza primaria a carattere nazionale. Il dibattito aperto in questi ultimi anni sul tema della mobilità e dei trasporti è stato molto articolato sul piano tecnico-scientifico, ma poco incisivo sul piano della reale e concreta politica di attuazione delle decisioni. Molti convegni, zero iniziative. È dagli anni Ottanta che l’Italia non riesce a varare un piano organico di interventi, capace di migliorare la mobilità nelle grandi aree urbane, nel delicato rapporto tra centri urbani e periferie, riequilibrare il sistema modale sulle grandi direttrici nazionali, in particolare il traffico merci, riorganizzare la portualità marittima e l’aeroportualità, mettere in sicurezza il sistema territoriale, correggendo il differenziale negativo nei confronti degli altri Paesi in termini di competitività.

Nonostante il solo formale impegno degli ultimi governi per migliorare la situazione, restano ancora due fondamentali punti da dibattere nelle sedi istituzionali: come spendere le poche risorse disponibili e per quali obiettivi. Ormai è ampia l’assonanza di orientamenti sull’opportunità di puntare verso un consistente programma di sviluppo delle infrastrutture (Piano Mattei), soprattutto nelle Grandi Reti (trasporti, telecomunicazioni, energia): condizione indispensabile, per far riprendere al Paese il cammino di un sano sviluppo del reddito e dell’occupazione con conseguenti benefici effetti sulla produttività del Sistema Paese.

L’obiettivo del Governo Meloni, giustamente, è quello di assumere il ruolo di “ponte” tra il Continente europeo e quello africano e tra Ovest ed Est tra Europa e Asia, che tra l’altro assegnerebbe all’Italia una posizione di grande rilevanza geopolitica. Ed è strettamente dipendente da un imponente programma di sviluppo di infrastrutture di reti e nodi intermodali sul territorio nazionale.

Resta in ogni caso il ruolo delle corrette valutazioni politiche per assegnare le giuste priorità a quelli che sono realmente i progetti strategici, ovvero quei progetti capaci di modificare sostanzialmente l’inserimento del Paese nella macrorete dei grandi Corridoi europei e transeuropei, guardando con occhio attento al Bacino mediterraneo e alle sue enormi potenzialità. Lo sforzo programmatico da attuare con la massima urgenza, vista anche la crisi della Tunisia e la drammatica situazione della Libia, nasce dalla duplice esigenza di un riequilibrio socio-economico del territorio nazionale (tra nord e sud), della sua “manutenzione” e di un miglioramento dei livelli di competitività del suo assetto trasportistico.

Rispetto a questo scenario, a fronte della concorrenza internazionale rappresentata principalmente dalla Germania e dalla Francia, il nostro Paese ha due ordini di problemi da risolvere con rapidità: A) il completamento dell’attraversamento dei valichi alpini; B) non perdere la sua centralità geo-politica nel contesto internazionale non solo europeo. Il più serio ostacolo alla realizzazione di tale ambizioso quanto ineludibile programma, oltre a quello del reperimento delle risorse finanziarie è quello dello snellimento delle procedure che sempre più diventano conflittuali per l’eccessivo ampliamento delle attribuzioni e del potere di veto dei tanti Enti coinvolti. Talvolta utilizzando discutibili metodi burocratici che diventano facilitatori di aspetti legati alla corruzione e al malaffare. In base a questa urgenza, sussiste un rischio, non tanto peregrino, di un asse franco/tedesco che, se non ben contrastato, potrebbe marginalizzare ulteriormente l’Italia ridimensionandone il ruolo in considerazione della carenza e obsolescenza infrastrutturale di talune reti, marginalizzando il Paese sul fronte infrastrutturale ed economico.

Su questi punti occorre che il Governo Meloni lavori sodo, mettendo in campo alleanze non solo europee che consentano al Governo italiano di non rimanere isolato. Su tale scenario, non s’insisterà mai abbastanza sull’importanza della continuità della catena di rapporti strategici esistenti tra sistema europeo, sistema nazionale, sistema macroregionale e sistema locale. Concentrando l’attenzione su questi aspetti emergono i seguenti ordini di problemi. Infatti, occorre:

1) dare effettiva certezza dei mezzi finanziari che costituiscono il presupposto inscindibile, risolvendo il problema dello scompenso tra stanziamenti approvati e risorse poi effettivamente disponibili;

2) avere maggiori sicurezze degli apporti della finanza locale e della corretta e puntuale esecuzione delle procedure necessarie all’ottenimento dei finanziamenti europei che ci si propone di orientare sulle grandi opere;

3) chiarire il ruolo che può assumere il capitale privato nelle iniziative, perché solo da una forte partecipazione attiva di capitale di rischio ci si può attendere anche una effettiva e salutare iniezione di imprenditorialità, oltre che maggiori gradi di realizzabilità “certa”;

4) collocare su un piano diverso, avvalendosi di strumenti differenti, il tema dei grandi sistemi infrastrutturali strategici di interesse nazionale e quello delle altre infrastrutture di cui il Paese ha bisogno;

5) in un contesto talvolta ostativo dei poteri di veto delle realtà locali, si ha la necessità di non dimenticare che alcuni progetti di grandi reti e grandi sistemi infrastrutturali trascendono di gran lunga la dimensione regionale e, in base alle considerazioni sopra fatte, la stessa dimensione sovranazionale.

Su questi concetti non si insisterà mai abbastanza, in quanto ciò che apparentemente può sembrare un problema di infrastrutturazione locale ha poi, inevitabilmente, proprio in virtù delle relazioni sistemiche, una sua immediata ripercussione nel quadro organico della rete in generale determinando un innalzamento del grado complessivo di funzionalità del macrosistema. Ma tale quadro deve essere l’ispiratore della grande politica economica, in quanto è tutt’uno con l’organizzazione del territorio, perché, nell’aspra competizione dell’Italia con i partner europei, il fattore vincente sarà sempre più la produttività del sistema-paese.

E ciò su cui si potrà contare per vincere la sfida, in atto da tempo, sarà l’effettiva capacità di rinnovamento strategico del sistema dei trasporti e della logistica, atto unico di supporto per consentire l’accesso ai grandi mercati internazionali nel più breve tempo possibile ed al costo più basso. L’interpretazione e la prefigurazione del futuro attengono ai compiti della politica e del management, i quali debbono organizzare scenari credibili per sostenere, domani, il confronto con la realtà in evoluzione. Se ciò non avviene, il mercato sarà sempre comunque in anticipo, servendosi proprio di questo “gap” per avvantaggiarsi e per escludere concorrenze indesiderate, cinicamente perpetuando posizioni di privilegio monopolistico. In questo senso, la pianificazione diventa allora qualcosa di ancora più complesso rispetto alla semplice registrazione dello statu quo: se non vuole nascere già morta e sprecare risorse, la pianificazione deve invece prefigurare e, condizionare il futuro, prevedendolo.

Questi importanti argomenti sul tavolo del Governo Meloni, affinché non muovano tutti verso le più disparate direzioni, necessitano però di una forte concentrazione di analisi delle singole e differenti problematiche, ma debbono anche essere ricomposti tutti in una logica di tipo superiore: un criterio politico di riferimento condiviso che, scavalcando pure la visione strettamente trasportistica, prefiguri una prospettiva sul possibile scenario futuro che s’intende raggiungere per il territorio italiano tra sostenibilità e sviluppo.

La cassetta degli attrezzi c’è. Adesso servono gli operai.

(*) Vicepresidente del CESP

Aggiornato il 31 marzo 2023 alle ore 13:28