Report, il fango nel ventilatore

La trasmissione di Rai 3 Report ha davvero superato sé stessa nell’ultima puntata, e sì che non era per niente facile. Non è certo la prima volta che quella trasmissione, idolatrata dai suoi fanatici sostenitori come esempio fulgido di “giornalismo d’inchiesta”, adotti quella tecnica narrativa che gli anglosassoni definirebbero “shit in the fun”, e che qui sobriamente traduciamo in “fango nel ventilatore”. Ma il servizio dedicato agli “avvocati difensori dei detenuti al 41 bis” ha superato, davvero, ogni limite di (in)decenza. Auspico, e anzi sono certo, che i colleghi loro malgrado coinvolti in questa incredibile, inaudita, incivile messa all’indice, adottino senza esitazione tutte le iniziative che riterranno utili a tutela della propria reputazione personale e professionale, per le quali avranno l’Unione camere penali al loro fianco. In sostanza, la trasmissione ruotava intorno a una premessa la cui ideazione può nascere solo nelle menti di persone da un lato ossessionate – ormai quasi patologicamente – dal tema dell’antimafia brandita come un manganello da una sorta di autoproclamatasi ronda dei “Guardiani della legalità”; dall’altro, prigioniere di un irredimibile analfabetismo costituzionale, che fa loro percepire con viscerale avversione alcuni fondamentali principi della nostra Costituzione, considerati alla stregua di un piede di porco adoperato cinicamente (dagli avvocati in particolare) per scardinare il becero ordine morale ed etico che costoro coltivano ed idolatrano.

L’idea grottesca è che se un avvocato difende più detenuti ristretti al 41 bis (un tema, quello del buttare la chiave, che eccita costoro smodatamente), questi può per ciò solo rendersi docile strumento di indebite comunicazioni illecite tra i detenuti, facendo leva (ecco il “piede di porco”) sulla inviolabilità del diritto di difesa, che postula il divieto di ascolto delle conversazioni tra avvocato e detenuto. Quindi, poiché costoro, come dicevo, detestano e guardano con sospetto e disprezzo quisquilie come l’assoluta intangibilità del diritto di difesa, ma sanno di non poter richiedere Apertis verbis l’ascolto di quelle conversazioni, ecco che puntano la questione per una via traversa. Sicché accendono il ventilatore e ci buttano dentro il fango del sospetto: se un avvocato difende un numero eccessivo di detenuti tutti contemporaneamente al 41 bis, non è forse un potenziale strumento di aggiramento dell’isolamento voluto da quella norma dell’ordinamento penitenziario? Per carità, fanno dire all’immancabile dottor Sebastiano Ardita mentre ronza (“inesausto”, direbbe Paolo Conte) il ventilatore, non diciamo mica che questo accada con certezza! Anzi, sia ben chiaro –precisa Ardita, tuttavia più minaccioso che rassicurante – la deontologia professionale glielo impedisce, sicché, in linea di massima, siamo certi che il professionista si rifiuti.

E però (senti le pale come ronzano, vedi il guano come schizza incontrollabile) l’avvocato può divenirne piuttosto una vittima (si intenerisce il dottor Ardita, che ora sembra il Lupo travestito da nonna di Cappuccetto rosso), dobbiamo difenderlo da questa esposizione, da questi rischi incombenti sulla sua correttezza professionale, che giammai mettiamo in discussione, ma che la debolezza umana e la feroce astuzia dei mafiosi potrebbe infine travolgere. Facciamo qualcosa, interveniamo, regoliamo, limitiamo. E così questi galantuomini, soi-disant giornalisti d’inchiesta, pubblicano un elenco (probabilmente non divulgabile, ma lo stiamo accertando) di avvocati con il maggior numero di assistiti al 41 bis, nomi e cognomi, così, tanto per gradire. Non tutti, per di più, ma tanto basta, così funziona il metodo del ventilatore, a chi tocca non si ingrugna, come si dice a Roma. E, non paghi, attirano con l’inganno una nostra collega, che ne difende molti perché nel carcere della sua città vi è forse il più alto numero di detenuti al 41 bis d’Italia, la quale, da persona perbene qual è, risponde immaginando una chiacchierata amichevole, ignara di essere ripresa, registrata ed esposta, senza il proprio consenso, al pubblico ludibrio della setta di fanatici (non di rado pericolosi) che amano frequentare questi angiporti televisivi.

Naturalmente, poiché il fanatismo si accompagna all’ignoranza, costoro ignorano che i detenuti al 41 bis sono raccolti solo in alcune carceri italiane, e dunque si concentrano solo su quei Fori; che l’assistenza difensiva nella fase della esecuzione è iperspecialistica, e quella relativa al 41 bis ancora di più, ed è dunque naturale che quei detenuti selezionino un ristrettissimo numero di avvocati dello stesso Foro territorialmente legato al luogo di detenzione. Insomma, nessun piano, nessuna strategia, nessun grande attentato alla legalità: semplice specializzazione. Sarebbe come volgarmente e del tutto gratuitamente insinuare che, essendo i magistrati antimafia sempre gli stessi per anni e anni, essi sono più facilmente esposti alla corruzione da parte dei loro stessi indagati, sicché sarebbe meglio ruotarli in continuazione. Non perché noi sospettiamo che essi siano corruttibili, ma – come direbbe Ardita – per proteggerli da quel pericolo. Che ne dice, dottor Ardita? E Lei, dottor Ranucci? Guardi che bella idea per un’altra delle vostre fantastiche inchieste, attendiamo fiduciosi. Però spegnetelo ogni tanto, quel ventilatore, rischiate di bruciare il motore.

(*) Presidente Unione camere penali italiane

Aggiornato il 12 aprile 2023 alle ore 09:32