Due mamme e una culla per la vita

Una culla per la vita. E così è stato. Alle 11,40 del giorno di Pasqua un bimbetto di una settimana viene lasciato dalla mamma “anonima” alla Clinica Mangiagalli di Milano, che dal 2007 offre alle partorienti che non possono prendersi cura dei loro neonati l’opportunità di salvarli. È la terza volta che “la ruota”, come era definita una volta, viene utilizzata. Enea frigna, sgambetta, è vivo: messo al mondo e subito prossimo all’adozione, visto che il Tribunale dei Minori di Milano si è prontamente attivato per individuare la famiglia idonea. Tutto è sembrato funzionare. Il nome del piccolo forse sarà cambiato, ma “Enea” è quello che aveva pensato la madre naturale e chissà che nell’eroe mitologico la donna non abbia racchiuso il desiderio del destino di “un re” dalle lunghe peregrinazioni ma anche dalla fortuna gloriosa. Accanto al corpicino c’era una lettera che spiegava le motivazioni del gesto: “Non posso prendermi cura di Enea, ma è super sano, tutti gli esami certificati alla nascita sono ok”. 

Si stringe il cuore a pensare al fragile frugoletto accolto nel reparto di ostetricia, che subito si è mobilitato per lui. Così come si è mobilitata l’opinione pubblica e un personaggio celebre come Ezio Greggio ha rivolto un messaggio pubblico alla mamma senza nome: “Lancio un appello per trovare e convincere la mamma di E., bimbo abbandonato nel giorno di Pasqua alla Mangiagalli di Milano”, ha detto l’attore in un filmato pubblicato su Instagram. “Il bimbo è bellissimo, sta bene, con altri amici siamo pronti a dare una mano alla mamma: torna alla Mangiagalli e ti prometto che non sarai sola”. Firmato “Zio Ezio”.

L’appello era sentito, tuttavia, non è piaciuto a tutti. Tradisce lo spirito della “culla per la vita”, che garantisce tre cose principalmente: l’anonimato della partoriente, che non sarà cercata e la futura adozione del neonato. “Se utilizzare le strutture più sicure per lasciare un bambino mette al centro di un dibattito politico e mediatico di questa portata, c’è il rischio che altre donne optino per strade meno sicure”, ha obiettato Monya Ferritti, presidente del Coordinamento Care, ente che supporta e promuove l’associazionismo famigliare adottivo e affidatario. “La scelta di questa donna, o ragazza, mi sembra lucida, sulla base di quello che purtroppo è trapelato sulla stampa, non mi sembra emergenziale, presa sull’onda dell’emotività: ha deciso di non voler essere madre in questo momento e questa decisione va rispettata”.

Sull’onda emotiva sui social si sarebbe sviluppata una narrazione sbagliata. Il punto non è trovare la madre naturale e convincerla alla maternità, ma assicurare un futuro “ai piccoli delle culle per la vita”. La nascita di “Enea” ha aperto una strada. In pochi giorni siamo già a un secondo caso. Questa volta si tratta di una bimba data alla luce da una donna senza fissa dimora in un capannone nei pressi di Quarto Oggiaro nel milanese, la quale accompagnata dai carabinieri all’ospedale Buzzi di Milano ha chiesto l’anonimato e ha espresso l’adottabilità della bambina. Dovranno passare dieci giorni per un eventuale ripensamento, poi il bebè avrà un nome e il Tribunale si occuperà di lei.

Un miracolo! In tempi di culle vuote, di interruzioni di gravidanza e di figli su commissione, la storia ci riporta indietro e ci mostra una realtà smarrita. Quella dei tanti bimbi messi al mondo naturalmente, forse frutto di casualità, di situazioni estreme, di donne che non sono pronte a fare le mamme, ma che intendono restare le genitrici uniche e dare la vita ai bambini. Donne non pronte a fare le madri a tempo pieno, ma che si rifiutano di eliminare una vita oppure mercificarla. Due atti, il primo tutelato da una legge e il secondo in odore di legittimazioni, che restano discutibili e intrisi di vissuti non sempre sereni. Questi due neonati invece segnano un traguardo nella traballante morale italiana. Lo ha scritto su Libero anche Vittorio Feltri: “Meglio abbandonati che abortiti”. Messaggio un po’ ruvido. Meglio partoriti, questo è il merito della donna-madre anonima. Perché ha accolto una vita e l’ha portata a termine, accettando le trasformazioni e le conseguenze. Se poi, per sua scelta insindacabile, la partoriente ha deciso di non poter essere la madre per sempre è uno dei casi in cui la maternità si sdoppia: colei che ti ha generato e colei che ti ha accudito. Entrambe donne ed entrambe “mamme per sempre”, poiché la maternità ha effettivamente due fasi: la gestazione e l’educazione. Questo semmai è il filo della modernità e dell’innovazione: avere due mamme e non più una sola. Ma pur sempre donne certe, senza salti di genere o strani incroci e nessuna biotecnologia, come hanno manifestato le “100 femministe contro la maternità surrogata”, a cui si è aggiunta la decana Barbara Alberti. Ciò che conta è venire al mondo, garantire alla donna l’assoluto primato della vita, trovare al nascituro una famiglia fatta di mamma e papà sana e idonea in cui crescere forti e vivi.

Ora il governo Meloni dia prova di incisività con una legge che tuteli la maternità naturale ed eterologa in tutte le sue forme e fermi gli obbrobri.

Aggiornato il 14 aprile 2023 alle ore 13:44