Regno Unito: nato con il Dna di tre genitori

Come si apprende dagli organi di stampa stranieri e italiani nel Regno Unito è nato un essere umano ottenuto tramite le tecniche di Procreazione medicalmente assistita (da ora Pma) utilizzando il materiale genetico di tre genitori. La tecnica utilizzata per ottenere il suddetto risultato consiste nel sostituire il nucleo di un ovocita che contiene l’informazione genetica ritenuta difettosa, per rimpiazzarlo con quello di un altro ovocita sano. In tale modo, la maternità biologica che si trasmette con l’ovocita è il risultato dell’incrocio di materiale genetico di due donne diverse, che – almeno astrattamente – potrebbero entrambe concorrere al titolo di madre biologica del nascituro. In questo scenario si coglie tutta la tragicità insita nelle tecniche di procreazione assistita – specialmente quelle di carattere eterologo – soprattutto in riferimento alla tutela della dignità della persona e del principio di certezza del diritto quale cardine dell’ordinamento e della civile convivenza. Senza dubbio, la suddetta tecnica non è nuova, poiché già da tempo si è trasformata in realtà allorquando, nel 2008, all’Università di Newcastle, è stato perfezionato l’intero procedimento, ma ciò non toglie le difficoltà etiche e giuridiche che tale prassi biomedica conduce con sé.

Tale innovativa tecnica, oramai pienamente messa a punto ed efficace, infatti, alterando la certezza dello status genitoriale della madre biologica – alla cui titolarità possono adesso concorrere ben due distinte donne – causa uno stravolgimento di carattere giuridico poiché si risolve nella negazione più diretta di almeno tre diritti naturali del nascituro: il diritto alla propria identità genetica; il diritto alla bigenitorialità; il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche. Il diritto alla propria identità genetica viene in rilievo nel momento in cui il nato non è più frutto dell’ordinaria singamia genetica tra i suoi due genitori, cioè il padre biologico e la madre biologica, ma è il risultato di un “minestrone genetico” che altera per l’appunto il suddetto legame naturale. Il diritto alla bigenitorialità viene leso poiché, appunto, con la suddetta tecnica il nato non ha più due genitori, ma due madri e un padre, con una moltiplicazione artificiosa delle figure genitoriali che contrasta frontalmente con il diritto naturale ad avere – come tutti gli esseri umani – soltanto una madre e soltanto un padre.

Il terzo diritto, cioè quello alla conoscenza delle proprie origini biologiche, viene, infine, coinvolto poiché la maggior parte delle volte le procedure eterologhe sono coperte dalla segretezza a vantaggio dei donatori, così che è impedito al nato di sapere sia le modalità tecniche con cui è venuto al mondo, sia di conoscere i propri ascendenti biologici, con un relativo vulnus non soltanto della sua propria dignità personale, ma anche della sua salute per quelle informazioni anamnestico-famigliari che potrebbe e dovrebbe sapere per il futuro. Sulla vicenda si possono quindi effettuare alcune considerazioni, poiché questa deve essere inserita nel contesto culturale e scientifico odierno, cioè in un contesto che sostanzialmente ha abbandonato perfino le ultime sponde dell’utilitarismo (cioè il pensiero in base al quale ogni prodotto della scienza deve essere finalizzato a uno scopo, spesso di carattere economico) per lanciarsi a capofitto nel procelloso oceano del tecnicismo (cioè il pensiero in base al quale se una cosa è tecnicamente fattibile non vi sono motivi per non farla, e tutto ciò che non può essere fatto sarà fatto non appena vi sarà la possibilità tecnica di farlo).

Il tecnicismo, infatti, viene sempre più spesso elevato dalla stessa classe scientifica, più o meno consapevolmente, a vera e propria ideologia e come tale assurge a unico e solo momento interpretativo dell’intera realtà. Il sintomo principale è la visione dell’uomo che da questa concezione della scienza e del progresso tecnico discende. L’uomo, in tal maniera, diventa a poco a poco, anzi, è diventato a poco a poco, una monade isolata, rinchiusa nel guscio del suo solipsismo esistenziale. Si è insomma sviluppata una concezione antisociale dell’uomo, in quanto l’uomo è sempre più inteso come un ente separato dalla realtà che lo circonda, in particolare isolato dai suoi simili, le relazioni con i quali avvengono sempre più di rado e solo per motivi di inderogabile necessità. L’uomo in sostanza, nel percorso del progresso scientifico, ha perso la sua stessa natura, quella natura sociale che era già nota ed evidenziata dal pensiero aristotelico. L’uomo, così, perdendo la sua socialità naturale e la sua natura sociale, ha sostanzialmente smarrito sé stesso, arroccandosi in una dimensione che potrebbe essere definita non come naturale, cioè vera e sostanziale, ma come artificiale, cioè tecnica. Lo smarrimento del “sé” da parte dell’uomo a causa del predominio del tecnicismo non può che qualificarsi come fenomeno preoccupante in quanto totalitario, poiché tendente al controllo totalizzante della vita umana, e in quanto antiumano, così come, del resto e in conclusione, già Max Horkheimer aveva notato scrivendo che “ciò che importa non è quella soddisfazione che gli uomini chiamano verità, ma l’operation, il procedimento efficace”.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 19 maggio 2023 alle ore 13:21