Tennisti d’Italia, l’Italia chiamò

Dopo lunghi quarantasette anni, la Nazionale italiana di tennis vince la Coppa Davis, uno dei titoli più prestigiosi dello sport. Il team azzurro vince nel segno del ventiduenne prodigio Jannik Sinner, che ha segnato un susseguirsi di trionfi eclatanti, come quelli contro l’ex “re” della racchetta, il serbo Novak Djokovic e battendo nella finale di Malaga la temibile Australia di Alex de Minaur. Il “fenomeno” altoatesino ha trascinato la squadra. Nella partita prima di lui, Matteo Arnaldi aveva sconfitto l’australiano di origine russa Alexei Popyrin. E in duo con Lorenzo Sonego, Sinner era entrato in semifinale dopo circa mezzo secolo da quando, nel 1976, a far sognare l’Italia furono Panatta-Bertolucci-Barazzutti-Zugarelli con Nicola Pietrangeli capitano.

I commenti sono esplosi: appassionati, tifosi, italiani, anche non praticanti del tennis, che hanno seguito per più di sei ore di gioco in diretta su Raidue (e sugli altri canali) una sfida mozzafiato. Un’Italia esplosa in un boato social di “favolosi”, “mitici”, “unici” e tutto il vocabolario del massimo gaudio sportivo e nazionalistico. Grazie ragazzi. Grazie ragazzi. Grazie ragazzi. Come un miracolo. E lo è stato, visto da quanti, troppi anni (47!) il tennis tricolore non aveva portato a casa la scintillante coppa d’argento, grande come i trofei dei mitici incontri delle antiche glorie. E lo è doppiamente un miracolo, perché la vittoria indiscutibile arriva sul martoriato Paese nei giorni peggiori. Sinner ai microfoni a caldo, spiegando il segreto e la ragione della lunga attesa e delle qualità ritrovate, ha detto: “Abbiamo vinto perché siamo una squadra che lavora come una famiglia”. Parole che sono deflagrate come mille schegge lasciando il pubblico sospeso nel bilico più alto. “F-a-m-i-g-l-i-a”. Anche nello sport si torna ai fasti quando si lavora e ci si comporta come in una sana, laboriosa e vincente “famiglia”. Tutto dimostrato anche dalla gioia, unità, concordia, fiducia, collaborazione e affetto dei magnifici della racchetta di capitan Filippo Volandri.

Non dovrebbe esserci null’altro da dire e da aggiungere: l’evidenza era lì, nello stadio brillante di Malaga, come pochi giorni prima a Torino sul campo degli Atp, in cui Sinner aveva iniziato la scalata da “numero uno” del tennis e dell’olimpo dello sport. Nello stesso giorno, nelle stesse ore, un’altra Italia, soprattutto di donne, urlava e faceva rumore contro il più agghiacciante dolore per “altri due figli d’Italia”, una martoriata e l’altro sceso agli inferi. Cercano una soluzione, attaccano, colpevolizzano il maschilismo, la cultura di destra, vorrebbero abbattere l’obelisco di Benito Mussolini al Foro italico di Roma, tutto ciò che è passato, patriarcato, famiglia tradizionale, educazione al possesso, proclamano la libertà dei generi senza limiti, ma urlano “non una di più”. Due Italie: l’elenco dei vivi gloriosi e l’elenco dei morti e morte senza pietà. Dobbiamo a costoro una risposta.

La piazza è un diritto della massa, ma non è stata una buona idea dividere le piazze. E chi ha programmato e concesso la manifestazione a Milano, Roma e in tutte le città per i cortei e i comizi per la Giornata della violenza contro le donne nelle stesse ore cruciali delle partite di Coppa Davis, ha fatto una brutta scelta. Per questo tanti reagiscono che la responsabilità è dei partiti e della politica malata. Perché lo sport insegna proprio quello che tra lame, lacrime e sangue cercano, urlano, lamentano, accusano, denunciano e piangono quei manifestanti e le donne: il rispetto. Il rispetto dell’altro, il rispetto di genere umano, non solo maschio, non solo femmina. Il valore di chi vince o perde, esulta o soffre, alza il pugno o china la testa.

Alcuni insegnanti di quelle scuole a cui si vorrebbe affibbiare il carico di “una rieducazione” sentimentale, intima, morale, sessuale addirittura, tutto il contrario della libertà, anzi una cinghia sempre più stretta e pericolosa delegata ai poteri, hanno detto così: “Bisognerebbe portare nelle scuole l’esempio di Jannik”. In una breve ma densissima intervista il magico ragazzo d’oro, sempre sorridente, sicuro e vincente, che (badate) non è una eccezione del talento, è il frutto di quella volontà, caparbietà e lucidità di cui stiamo dicendo, ha indicato in successione le tappe, le modalità e gli ostacoli da superare. Un fuoriclasse, ma il talento è la parabola di tutti. “Mi spacco di duro lavoro ogni giorno”. Eh, ragazzi, che facciamo qui ci perdiamo subito? Chi sballa, chi sbuffa, chi scappa, chi si ribella? Guardate bene le sequenze, cari giovani (io ho fatto vedere gli incontri alla mia nipotina di otto anni): Jannik salta, gioisce, ride, leggero come una piuma, suda, digrigna se serve, mai affaticato da gettare la racchetta e infuriarsi, mai stanco da gettare la spugna, mai sfinito e snervato dagli affari e affaristi, soprattutto mai annoiato e insoddisfatto.

Da giorni su L’Opinione stiamo pubblicando interventi su tutte le modalità possibili e attuabili per rispondere a quel rumore, dolore, strazio e rabbia di quelle donne e gente dell’altra Italia. E prima dei fatti più macabri avevamo pubblicato integralmente l’intervista sul Corriere della Sera a Jannik Sinner che un professore sui social, che si capiva essere addolorato e disperato, aveva postato scrivendo: “Ho detto ai miei alunni, leggetela, è un paradigma di vita”. Che serve di più? Che stanziamenti, che fondi, che influencer, che poi per parità portiamo Adriano Panatta e il duo Ferragni-Fedez? Bastano le materie scolastiche di una scuola per cui l’altro mio nipote, di 16 anni, che lo hanno portato a vedere Io capitano, il film di Matteo Garrone sui ragazzi dei barconi, mi ha detto: “Poveracci, vengono qui, in Italia e in Europa perché coi telefonini hanno capito che in Italia e in Europa ci sono le migliori scuole del mondo, poi li mettono a fare i pusher e li lasciano a delinquere, poiché nelle scuole ce ne sono uno, forse due”.

Ecco perché diciamo che le responsabilità sono degli adulti, delle istituzioni dell’educazione dello Stato, dei genitori, delle famiglie che non ci sono più. Ma alla fine di tutto sono la politica, i partiti, i leaders (e i loro sodali, cioè personaggi famosi, influencer, comunicatori) contro cui abbiamo una polemica violenta come un vulcano, perché sono loro che possono fare il bene o il male, conseguire la soluzione o sfruttare il caos.

Parliamo di sport, qui e ora molto in sintesi. Solo per chi legge e giustamente deve avere le credenziali di chi scrive, dico che oltre che una giornalista professionista da cinquant’anni sono stata primatista italiana di nuoto. L’errore è come lo sport viene praticato nelle scuole. Si fa quel che si può. Invece si potrebbe fare quello che serve e che farebbe divertire e costruire i giovani. Invece si spendono un sacco di bonus, che poi se vai nelle palestre e piscine nessuno riesce a prendere. Io ho visto solo una nonna romena tirare fuori e ottenere il vaucher. Ma i bonus vanno a caricare i conti e le spese di Comuni e Regioni, che poi mettono le addizionali su stipendi e pensioni, e noi paghiamo, i fessi. Ai tempi buoni, ai miei tempi, il Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) era come la scuola pubblica. Tutti potevano fare per pochi soldi al mese (15mila lire, cioè oggi 20 euro) tutti gli sport olimpici. E ora ci sono pure i paraolimpici. Non c’era famiglia, oggi si direbbe anche con Isee ai livelli più bassi, che non potesse iscrivere i figli a una piscina, uno stadio, un campo. Io lì, a quei tempi, ho conosciuto Panatta, che ieri ha detto: “Mi sento sollevato, dopo 47 anni ho trovato Sinner che prende il mio posto”. Pensate che critica gigantesca che ha fatto!

Questione di cervello e volontà politica. La scuola invia ai circoli gli studenti per le ore obbligatorie degli sport olimpici, che gli studenti possono scegliere. La famiglia ci mette l’equivalente di quello che una volta costava fare il Coni e i fondi stanziati vanno tutti a buon fine. Poi si può ragionare sul progetto. Perché lo sport può risolvere quei malesseri e segnali che nei salotti televisivi si sente tanto insistere che sono inascoltati e ignorati.

Torniamo al tennis e a Sinner. Coi miei nipoti abbiamo visto le partite con questa ottica e abbiamo commentato ogni colpo, io indicando loro e loro a me l’aspetto tecnico e psicologico. Cioè di personalità. Ora qui ne dico uno. Il tennis dimostra, anche a livello di Sinner o Djokovic, o degli altri campioni, che pur se fai un punto, ti porti in vantaggio, al prossimo colpo si ridiscute tutto da capo. Su e giù, anche tre ore, il volto duro di Nole e il pugnetto di Jannik. Se hai la preparazione atletica non soffri, ti diverti e diventi ricchissimo. Poi impari la concentrazione: si vince mica con la racchetta, quello è il braccio, il tennis è in testa. Dopo ci sono la partecipazione, l’allenatore, la squadra, i fans, il sistema economico. Non so se sapete che il tennis è uno degli sport che hanno il più alto volume di affari. È facile capirlo: quanto ci può essere dietro la fabbricazione di una racchetta che è come un violino Stradivari? Una racchetta che pesa come una piuma per cui con la forza muscolare mandi la palla anche a 210 km l’ora? E le magliette, le borse, le scarpe, quelle per cui tanti genitori devono sborsare un botto e di più per quelle firmate dal campione il triplo di un botto?

Bisogna eliminare le bestemmie. Non solo quelle che sparano già dalle medie le ragazzine, poi i ragazzini italiani, gli stranieri a seguire, extra o non extracomunitari. Poi il fumo, l’alcol, lo sballo. Mi riferisco alle “bestemmie” di alcuni leader dei partiti, come quella sul Corriere della Sera di Walter Veltroni, il buon progressista, piddino, postcomunista, ex segretario, che il giorno dopo la prima vittoria clamorosa di Sinner ha scritto un articolo con questo titolo: “L’Italia dei due esempi, Jannik e Paola”. Chi è Paola? La Cortellesi. Che c’entra? Appunto, una “bestemmia”. Una donna di 50 anni che fa l’attrice, recita cioè, poi trucco e parrucco, poi ha fatto un film che non ha unito l’Italia, ma ha sollevato un mare di polemiche, molta indignazione, la deportazione forzata degli alunni italiani che dalla terza media vanno a vedere... cosa? Cioè, che voleva dire Walter? L’Italia della famiglia Sinner e il disastro che siamo noi? Perché va aggiunto che sempre gli stessi se si sono affacciati allo sport hanno portato subito lo scompiglio degli sport maschili, femminili e viceversa nel calcio, pugilato, eccetera. Alla fine di tutto questo propongono lo psichiatra, lo psicologo e l’esperto obbligatorio visto cosa accade nelle relazioni primarie e quelle che dovrebbero essere sentimentali.

Poi verrebbe la parte tutta italica delle escalation dei campioni che, come Matteo Berrettini, sono passati dalla gloria ai circuiti del gossip, del privato, delle donne e come Francesco Totti delle insinuazioni e dei corsi trattamentali Lgbtq+. In una pubblicità tra una partita e l’altra della grande serata di Coppa Davis, la Rai servizio pubblico ha trasmesso uno spot in cui una notissima si depilava in mezzo alle gambe e un “lui” sul petto usava “il rasoio di genere”.

Che cosa ne sarà di Jannik Sinner, il ragazzo d’oro, il fenomeno, che ci ha ridato ieri l’onore e la dignità. Chi può dire più Fratelli d’Italia? Forse tennisti d’Italia, ecco così cambieremo la Carta.

Aggiornato il 27 novembre 2023 alle ore 14:57