Un social network   a misura di bambino

Nel mondo 2.0 la condivisione sembra esser diventata la parola chiave. E in effetti per molti lo è. I social network in questa dinamica hanno giocato un ruolo essenziale, tanto che ormai – tutti incollati in modo costante allo smartphone o al tablet – apprendiamo notizie, anche private, come la nascita del figlio di amici, prima tramite la foto postata a poche ore dal parto su un social network piuttosto che dalla telefonata entusiastica dei neo genitori. In questo scenario di rapporti sempre più rarefatti – e la ragione risiede solo nella carenza di tempo atto a coltivare relazioni sociali “reali”? – solo i più piccoli sembravano potersi salvare. Ma a quanto pare non per molto ancora.

PopJam è infatti la novella app, lanciata da poche settimane in Regno Unito, che mira a rivoluzionare il mondo delle reti sociali, estendendo il magico mondo della condivisione anche agli “under 13”, a oggi ancora esclusi da Facebook, Twitter, Instagram e tutte le reti sociali dedicate a un pubblico adulto, anche se è sufficiente mentire sulla propria data di nascita per bypassare i divieti di accesso.

Il nuovo baby network, ideato da Michael Acton Smith, titolare di Mind Candy, azienda leader nel mondo dei giochi on-line per i più piccoli che, grazie a Moshi Monsters tiene incollati a device tecnologici 85 milioni di bambini in tutto il mondo (è rivolto ad un pubblico di età compresa tra i 7 e i 12 anni). Si pone a metà strada tra Instagram e Pinterest, permettendo di postare immagini e di modificarle in modo da farne piccole "opere" da poter condividere con la propria community di amici. Il baby social permette, inoltre, di seguire argomenti o brand, prodotti e show televisivi, probabilmente anche nell’intento di trasformare il giovane pubblico in un esercito di baby consumatori.

Ai genitori intimoriti dai rischi della Rete, il creatore ha fornito rassicurazioni efficaci circa misure speciali per la tutela dei “baby utenti”: dall’utilizzo di avatar volti a preservarne l’identità, al divieto di postare selfie fino a speciali dispositivi di parental control e all’esistenza di moderatori che monitorino gli scambi.

A quanto pare il nuovo social non è l’unico esistente per questa fascia di pubblico. Esistono infatti già Mypage (addirittura rivolto a bambini di appena 5 anni), Diy (definito da Wired il “frigorifero dove postare le opere dei più piccoli”), Twigis (che già annovera 4 milioni di utenti).

La notizia desta grande preoccupazione, ma non per via delle insidie della rete – dai tristemente noti fenomeni di cyberbullismo ai più allarmanti episodi di pedofilia – dai quali l’applicazione sembra peraltro proteggere i più piccoli, ma riguarda un problema più generale, ideologico forse. È proprio necessario creare una dipendenza dal web anche nei più piccoli?

Se l’uso così massiccio delle reti sociali negli adulti è attribuibile a vite caotiche e lavori totalizzanti che non lasciano più all’individuo la possibilità di coltivare rapporti reali, questo non è certo un problema che interessa i più piccoli, che, per loro fortuna, possono ancora godere liberamente dell’organizzazione del proprio tempo. E allora non sarebbe meglio portarli un pomeriggio in ludoteca o fargli frequentare un corso pomeridiano di danza, nuoto o lingue straniere? Non sarebbero questi spazi e modi più sani di condivisione?

La dichiarazione di Smith in occasione del lancio della nuova applicazione - “abbiamo sempre creduto che possano accadere cose incredibili quando si apprende divertendosi” - lascia assai perplessi. Apprendere cosa, di grazia? Per ora, almeno in Italia, possiamo stare tranquilli, visto che PopJam opera attualmente solo all’interno dei confini britannici, anche se il rischio di una rapida estensione “transfrontaliera” è piuttosto concreto.

Aggiornato il 28 novembre 2022 alle ore 02:52