Il “miglior interesse” dell’essere umano non può essere deciso da un tecnocrate

Il fatto di cronaca, seguito da tutti i mezzi di comunicazione mondiali, è recentissimo. Indi Gregory, di otto mesi, è morta in un centro sanitario inglese, nonostante il Bambino Gesù di Roma si fosse offerto di ricoverarla, dal momento che le corti giudicanti britanniche hanno rifiutato perfino di consentire ai genitori di farle vivere le ultime ore a casa. Sia chiaro: dall’ospedale italiano avevano già anticipato che le cure da praticare alla piccola, affetta da un male molto grave e raro, sarebbero state soltanto palliative, cioè lenitive delle sofferenze e sedative: nulla di più.

Ma il problema da tenere in debita considerazione non è questo. Il vero problema è come pensare e interpretare quello che il sapere bioetico e la correlata giurisprudenza ormai da tempo hanno individuato quale il criterio fondamentale per assumere decisioni a tal segno delicate e cioè il “miglior interesse” (“the best interest”) del bambino.

I medici e i giudici inglesi hanno infatti deciso che il “miglior interesse” della bambina – in mancanza di terapie adatte al suo gravissimo male – fosse quello di staccare i supporti tecnologici che l’hanno tenuta in vita per otto mesi, lasciandola morire in un apposito centro sanitario a ciò deputato.

Ora, ciò che stupisce è la spregiudicatezza con cui si ritiene che medici e giudici possano rivendicare il monopolio esclusivo circa la competenza a giudicare quale sia davvero il miglior interesse del paziente in un caso del genere.

A respingere tale presunzione – perché di presunzione nel senso etimologico del termine si tratta – militano diverse motivazioni.

Innanzitutto, va notato, in chiave empirica, come decretare in tal senso la fine di una vita così fragile e così “nuova” significa chiudere le porte, per dir così, al futuro progresso della medicina e della tecnologia, ipotizzando che nei prossimi due o tre anni nessuna novità terapeutica, in grado di arginare, se non di curare, il male della piccola Indi, possa da esse provenire.

Chi potrebbe affermare – senza arrossire di vergogna – una cosa del genere con quel tanto di certezza che possa abilitare a staccare i supporti vitali ad un esserino così piccolo?

In seconda battuta, va invece osservato come la valutazione del “miglior interesse” di un paziente, e a maggior titolo di una neonata, non può in alcun caso essere interamente delegata ad una costellazione di soggetti dotati di competenze esclusivamente tecniche come i medici o come i giudici, i quali in questi casi non possono che limitarsi a rivestire dell’autorità della toga le conclusioni di quelli, viste come incensurabili.

E ciò semplicemente perché il problema della “tecnica” – derivante dai mezzi tecnologici di supporto alle terapie mediche – non è un problema “tecnico “. Non è mai il pensiero tecnico abilitato a pensare i problemi nascenti dalla tecnica, ma è il pensiero compiutamente antropologico, il quale pensando l’essere umano nella sua complessità, è il solo capace di pensare il senso, i limiti, le prerogative della tecnica, soprattutto se afferente – come in questo caso – alla vita stessa, al suo finire o al suo perdurare.

Delegare la valutazione del “miglior interesse” circa la vita o la morte di un essere umano – qui una neonata – a protocolli clinici, referti di laboratorio, ritrovati tecnici, tutti da accreditare socialmente attraverso la toga del giudice, equivale a voler valutare la qualità estetica del “Sole nascente” di Monet, delegandone il giudizio all’esame chimico della tela e degli impasti dei colori sulla tavolozza: una cosa ridicola prima che assurda.

Eppure, è quanto accade. Per questo, i genitori della piccola Indi sono stati di fatto esautorati da ogni ambito decisionale; per questo, le autorità non hanno loro permesso di condurre in Italia la piccola, operando letteralmente un “sequestro di Stato”; per questo, non è stato neppure consentito di condurla a morire fra le mura domestiche.

Difficile immaginare una crudeltà, impastata di buone intenzioni, più raffinata ed efficace di quella organizzata dalla vecchia Inghilterra, che dicono (ma non sembra) essere la patria della libertà politica (quale?) e dell’”habeas corpus” (negletto).

La cosa più grave è che nessuno di questi civilissimi e “liberali” inglesi ha avuto il coraggio di ammettere che il “miglior interesse” di Indi poteva esser conosciuto non dai tecnocrati in camice o in toga, ma proprio dai genitori. E ciò per un motivo molto semplice: perché mentre i tecnocrati, presi dall’interesse esclusivo per il corpo della piccola, ne hanno dimenticato l’anima – e perciò non la conoscono – al contrario, i suoi genitori la conoscono a fondo perché ne amano l’anima: e perciò anche il corpo.

(*) Tratto dal quotidiano La Sicilia

Aggiornato il 22 novembre 2023 alle ore 09:44