Tutto il potere dei giudici

Al di là dell’ennesimo fatto di cronaca che contrappone il Governo, nella persona del ministro Guido Crosetto, all’Associazione nazionale magistrati, credo necessaria una breve riflessione per comprendere quali siano le ragioni di fondo che alimentano lo scontro. Propongo alcune osservazioni complementari.

La prima. Quasi tutti dimenticano come nell’impalcatura dello Stato di diritto, quello della magistratura non sia mai un “potere”, bensì, come recita la Costituzione, soltanto un “ordine”. Ciò significa che mentre quello esecutivo e quello legislativo sono poteri dello Stato, quello giudiziario non lo è, nel solco della più genuina lezione del teorico della separazione dei poteri: Montesquieu precisa infatti che quello giudiziario è un potere “nullo”, vale a dire inesistente come tale, rispetto agli altri poteri con cui deve dialettizzarsi (Lucio Coletti insisteva molto su questo aspetto).

Questa impostazione di fondo, cruciale nello Stato di diritto, non è senza conseguenze, in quanto significa che mentre gli altri due poteri sono depositari della sovranità appartenente in modo esclusivo al popolo – e per questo si costituiscono come poteri effettivi – l’ordine giudiziario non partecipa in alcun modo, né diretto (come il Parlamento che legifera) né indiretto (come il Governo che governa) di una tale sovranità e perciò non è possibile porlo allo stesso livello costituzionale degli altri. Se lo si facesse, l’effetto doppiamente erroneo sarebbe quello – costituzionalmente scorretto – per un verso, di attribuire ai magistrati un potere non fondato su nessuna delega di sovranità e, per altro verso, di spogliare la sovranità popolare del potere ad essa connaturato atto a delegarla ai soli organi rappresentativi.

Non inganni peraltro la circostanza che le sentenze vengano pronunciate “in nome del popolo”: questa formula non significa una (inesistente) attribuzione di rappresentanza del popolo, ma soltanto che la pronuncia del giudice viene giustificata da una previa legittimazione popolare: si tratta di un mandato e non di una delega di sovranità.

La seconda osservazione. Anche per il fatto indubitabile che i magistrati non sono depositari di nessuna sovranità e che perciò si collocano un gradino sotto i poteri dello Stato, essi non sono legittimati ad interloquire alla pari con altri organi dotati invece di rappresentatività.

In particolare, né come singoli né come Associazione possono essi vantar titolo per partecipare direttamente o indirettamente alla funzione legislativa o esecutiva che invece è affidata ai due poteri dello Stato, con la pretesa di interloquire nel processo di formazione della volontà parlamentare o di quella governativa: se lo facessero ne verrebbe un pernicioso condizionamento da coloro che, chiamati ad interpretare ed applicare le leggi, avrebbero prima partecipato al loro confezionamento.

La terza osservazione. Nonostante quanto precede, l’Anm si propone come un soggetto politico che discute con tutti gli altri organi dello Stato non solo di questioni sindacali, ma genuinamente politiche estese a tutti i settori, nessuno escluso: migranti, ordine pubblico, legge finanziaria, vaccinazioni, ecc. Così operando, essa viola la correttezza delle funzioni di quegli organi, i soli deputati dalla Costituzione ad occuparsi e ad intervenire su quei problemi: esonda dai suoi scopi, danneggiando gravemente l’assetto costituzionale dello Stato.

La quarta osservazione. Va stigmatizzato un grave squilibrio del nostro sistema dato dal fatto che mentre il potere legislativo e quello esecutivo debbono rimanere necessariamente chiusi nel perimetro delle loro attribuzioni – non avendo modo di operare incursioni di alcun genere – al contrario i giudici hanno titolo per intromettersi nell’esercizio sia del potere esecutivo che legislativo, in forza di una indipendenza che, tralignando in assoluta irresponsabilità, li rende insindacabili del bene e del male in tutti i settori della vita pubblica.

Ne viene un deleterio paradosso: l’ordine giudiziario, pur non essendo un potere, esercita “tutto il potere”, senza che gli altri poteri effettivi possano sindacarlo.

Da qui lo scontro.

(*) Tratto dal quotidiano La Sicilia

Aggiornato il 01 dicembre 2023 alle ore 09:45